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Back In Time

“Ass Cobra”: il massacro del perbenismo

Nel 1996 il mondo del rock si stava lentamente disintossicando dal grunge – le cui propaggini si stavano sfilacciando per una serie infinita di motivi – ed entrava a pieno titolo nell’era del crossover e l’opinione pubblica più pudica si tappava le orecchie ad ogni singolo “fuck”, MTV censurava a tutto spiano ed entro la fine dell’anno sarebbe approdato sugli scaffali dei negozi di dischi “Antichrist Superstar” degli infami Marilyn Manson.

Da questa parte dell’Oceano invece la ribellione e il degrado passavano per tutt’altra strada, una strada dissestata che si diramava lungo tutta la Scandinavia. Dalla Svezia erano in procinto di palesarsi dischi come “Songs To Fan The Flames Of Discontent” dei Refused, “Supershitty To The Max!” degli Hellacopters e “Oh Lord! When? Now!”, primo EP degli Hives. In Norvegia invece il sentimento controculturale era da anni nelle mani della compagine black metal salita alla ribalta sia per la propria proposta musicale altamente “tossica” (quantomeno per le menti semplici e pure) sia per i fatti di cronaca che tutti conosciamo. Il nero metallo non era però tutto ciò che questa terra gelida aveva da offrire.

Mentre tutti quanti guardavano avanti i Turbonegro andavano a ripescare un modo di porsi ben distante dal nuovo che avanza. “Ass Cobra” esce nel maggio di quell’anno ed è il terzo full length della band e se era già chiaro a chiunque li avesse ascoltati che la strada era quella dell’estremizzazione finale dello shock rock cooperiano e della violenza cara agli Stooges con questo album la band decide di spingersi oltre il punto di non ritorno. In questa terra di nessuno ci sono riferimenti all’immaginario nazista (la loro fanbase viene battezzata Turbojugend), sessualità contorte e sporche oltre i limiti dell’indecenza, una pioggia di denim e mise che si rifanno senza timore all’iconografia omosessuale sdoganata negli anni ’70 – con tanto di fasullo machismo – e stage name ragguardevoli.

Il disco in questione è estremo da più di un punto di vista tant’è che dell’uscita europea si cura nientemeno che l’Amphetamine Reptile, mecca del noise rock statunitense, e fin dalla copertina mostra il proprio manifesto: Hank Von Helvete, Happy-Tom, Rune Rebellion, Bingo e Pål Pot Pamparius sono ritratti in bianco e nero, completamente coperti in denim e accompagnati da un guardingo pastore tedesco.

Se i punti di riferimento sono chiaramente il proto-punk (più Stooges e Rocket From The Tombs che Death) e il glam di primi ’70 (più New York Dolls e MC5 che T.Rex) c’è tanto della violenza chitarristica dell’hardcore a stelle e strisce e del black metal dei propri conterranei: le chitarre di Deathtime, quelle di Bad Mongo e Black Rabbit – quest’ultima sembra un misto micidiale del sound di Darkthrone e Ramones – parlano chiaro e si stagliano plumbee su un cielo già grigio di suo.

Fenriz dei Darkthrone (a destra) sfoggia una bella toppa dei Turbonegro

I contenuti surclassano qualsiasi altro tentativo di dare il voltastomaco a chiunque vi si approcci: il NAMBLA diventa un mostro pronto alla violenza sessuale (The Midnight NAMBLA), anatemi pornografici che prevedono una stretta di mano a Morrissey, richieste di sesso ad una lesbica oppure un bagno ad Auschwitz (Deathtime), energumeni neri dentro e fuori in tenuta punk e tatuati in malo modo pronti ad accoltellare e prendere a calci sui denti i malcapitati (Bad Mongo), anthem proletari in salsa norvegese che riportano alla mente i più famosi redneck battezzati da una violenza cara ai Black Flag (Mobile Home), luride dichiarazioni carnali (I Got Erection, più tardi coverizzata dai Satyricon, Just Flesh) e pericolosi insulti alla propria generazione (Hobbit Motherfuckers) fanno paura più di qualsiasi altro testo in circolazione in quel momento.

Ass Cobra” è un disco che oggi non potrebbe uscire e che verrebbe martoriato senza pietà dal farlocco perbenismo del web che ha preso il posto dei censori delle grandi stazioni radio/etichette musicali/emittenti televisive del passato ma è anche e soprattutto un disco che ha ridefinito l’idea di violenza punk e di commistione di genere – pur primitiva – fino a dare i natali ad un “nuovo” concetto, quello di deathpunk, sbattendosene il cazzo di tutto ciò che circondava la band, contro-controcultura con l’illusione dell’ignoranza ma mai così distante da essa.

E comunque stronzi così non ne fabbricano più.

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