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The Body – I Fought Against It, But I Can’t Take Any Longer.

2018 - Thrill Jockey
industrial / sludge / noise

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Tracklist

1. The Last Form Of Loving
2. Can Carry No Weight
3. Partly Alive
4. The West Has Failed
5. Nothing Stirs
6. Off Script
7. An Urn
8. Blessed, Alone
9. Stickly Heart Of Sand
10. Ten Times A Day, Every Day, A Stranger


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Non riesco ancora a capire che diavolo passi per la testa dei The Body. Il sound del duo composto da Lee Buford e Chip King di album in album continua a non lasciare traccia di sé andando a modificare continuamente la propria struttura molecolare rendendosi ad ogni nuova uscita più irriconoscibile e alieno di prima.

Di sicuro c’è solo che nella spirale del DNA della band si incastrano informazioni industrial che tendono a non venir mai ignorate, bensì implementate di continuo e mischiate tra di loro fino ad evolvere la propria natura cesellando ogni spigolo e migliorandone l’essenza. Il tratto distintivo del precedente “No One Deserves Happiness” era questa commisurata e pesata biforcazione tra debilitazioni sludge e cunei noise ad impatto apocalittico. Ciò che rimane sul nuovo “I Have Fought Against It, But I Can’t Any Longer.” è esattamente quel suono e quel modus ma, come dicevo prima, migliorato e più forte, incisivo, messianico, catastrofico e con un’aggiunta di emotività rituale che prima era solo accennata.

Ad essere incanalato è una sensazione pop finora inedita. Avete sentito bene: pop. Questo non vuole ovviamente dire niente di ciò che verrebbe comunemente inteso come tale e sempre di ingrediente mutageno si tratta. Il brano che più incarna tutto ciò è Nothing Stirs: guidato da un ritmica sintetica cara ai padri putativi della band ossia i Nine Inch Nails il pezzo è un crescendo armonico di rumore/dolore che ad ogni passaggio aggiunge un tassello e si va via via creando un’onda architettonicamente perfetta sorretta dalla voce dolcemente lirica di Kristin Hayter che si tramuta ben presto in un demone urlante inchiodato alle viscere dell’inferno mentre gli archi sullo sfondo fanno da assurdo contraltare.

I due non lesinano sulla distorsione e sulle grida mortificanti di King e quelle mostruose di Ben Eberle ora spalleggiate da LFO massacrati e massacranti quasi fossimo dinnanzi ad una versione assassina di Matmos e Mouse On Mars (Off Script, An Urn) ora contuse da spiazzanti ombrelli atomici sludge-doom (The West Have Failed). Ci sono poi agganci al minimal-massimalismo zolajesusiano che donano al disco una patina di alienazione femminea a dir poco sbalorditiva (The Last Form Of Loving, Can Carry No Weight), costrutti cameristici che si scontrano formando un’unica galassia comprendente stelle galasiane e swansiane in egual misura (Blessed, Alone) e cutting disarticolati industrial da manicomio (Stickly Heart Of Sand) e tutti questi elementi legati assieme rendono il risultato finale ancor più fuorviante, se possibile.

Come un elastico cosmico i The Body tirano per gli estremi il proprio linguaggio incrementandone la ricchezza di vocaboli gutturali e soluzioni di fino abbellendone l’orrorifica presenza. Ad oggi semplicemente la migliore incarnazione del linguaggio heavy che fa più moda che modo tra i più e pur predicando spesso nel deserto nulla viene tolto alla caratura evocativo-fatale di questo bellissimo abominio.

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