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“De Mysteriis Dom Sathanas”, quel senso di morte perenne che brucia ancora

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Premessa: in ciò che state per leggere non ci sarà né la storia dei Mayhem né tanto meno una recensione, più probabilmente troverete una personale riflessione su un capitolo unico nella storia della musica. Parlare di un disco come “De Mysteriis Dom Sathanas” per me potrebbe sembrare facile.

Dopotutto vivo (inconsapevolmente fino a pochi anni fa) a due isolati da dove si compì la tragedia tra Vikernes e Aarseth e vado regolarmente a comprare dischi da Neseblod, l’allora Helvete (ma vi prego di non chiamarlo così, ad oggi che non condivide nemmeno l’entrata del vecchio negozio).

Invece facile non lo è per nulla.

Perché se capita raramente che un album funga da pietra tombale per una band figuriamoci il farlo per un genere intero. Potremo stare qua a discutere all’infinito su quanto di “trve” sia sopravvissuto ai giorni nostri, ma il fatto che il primo lavoro dei Mayhem rappresenti di fatto la fine del black metal norvegese come fu originariamente concepito è un fatto inattaccabile.

Pubblicato nel ’94 dopo mille ritardi, il disco fu scritto e concepito a partire già dal ’91 dalla seconda (per alcuni l’unica) line-up dei Mayhem che comprendeva Dead, Hellhammer, Euronymous, e Necrobutcher. Alle registrazioni, che si tennero tra il ’92 e il ’93 alla Grieghallen, parteciparono solamente il chitarrista e il batterista, aiutati da Vikernes stesso al basso (le cui parti sono presenti e ben udibili su disco, nonostante quello che dica Hellhammer).

© Jørn “Necrobutcher” Stubberud

L’atmosfera che si respira all’interno dei vari brani è, per certi versi, inedita rispetto ad altri capisaldi del black norvegese di quegli anni. Non troviamo, per esempio, né la maestosità degli Emperor, né il nichilismo dei Darkthrone, né la tristezza di Burzum, né tanto meno un messaggio satanico pacchiano e circense.

Quello che si percepisce è solo un senso di morte perenne, per certi versi simile a quello che si prova nei piccoli cimiteri di paese nelle giornate invernali.

Parte di questa peculiarità è dovuta al contributo di due personaggi che sono sempre stati ai margini della scena ma che condividono entrambi una forte personalità musicale: Snorre W. RuchAttila Csihar. Il primo, col demo Grymyrk influenzerà pesantemente la scrittura e gli arrangiamenti di molti dei riff presenti (quello portante di Pagan Fears arriva direttamente dal brano dei Thorn Into The Promise Land).

Negli anni successivi i sopravvissuti Hellhammer e Necrobutcher riesumeranno il cadavere dei Mayhem, che produrrà una serie di album di qualità altalenante, per arrivare negli ultimi due anni ad una serie di concerti in cui proporranno (ottimamente) il disco per intero, ma questa è un altra storia.

E soprattutto un’altra band.

P.S.: l’edificio che si vede stilizzato nella copertina è lo splendido Nidarosdomen di Trondheim. Si vociferava ai tempi che il piano di Euronymous fosse quello di pubblicare “De Mysteriis Dom Sathanas” e far saltare in aria la chiesa.

Se Dio (?!?!) vuole il duomo è ancora lì, in piedi.

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