Finiamola una volte per tutte con questi lunghi e noiosi luoghi comuni circa le qualità di Courtney Barnett.
Analizziamo le cose per come realmente stanno: la Barnett non ha pretesa di inventare nulla, non diventerà mai Pj Harvey, e sarebbe impossibile per lei tentare di sperimentare all’interno di un genere così antico e/o abusato.
Courtney suona musica semplicissima, legando il tutto a dei testi ben strutturati: questo basta e avanza. A tre anni dall’esordio (“Sometimes I Sit and Think, and Sometimes I Just Sit”) e a meno di uno dal bellissimo “Lotta Sea Lice” con Kurt Vile, ritorna in pista suonando un album indie con la sfrontatezza da veterana del mestiere. Non è una ricercatrice sonora alla Bjork, non è patinata come St. Vincent, ma è una donna che si emoziona e sa emozionare come poche.
“Tell Me How You Really Feel” è un album che scava profondamente nelle anime più fragili ed in quelle più deboli. Qualsiasi emozione è guidata dalla ragione e le emozioni non vanno soppresse; fatevi un giro tra le rime della stupenda e plumbea Hopefulessness (canzone più bella dell’intero album a mio avviso) per capire a pieno il concetto.
In Charity e in I’m Not Your Mother, I’m Not Your Bitch incombe lo spettro di un’altra Courtney, la vedova Cobain, e il ricordo del grunge e delle Riot Girrrl vive anche nel 2018. Il resto della scaletta è capace di affascinare e di avvincere, mai una caduta di tono, e la graziosa Nameless, Faceless ne è la prova: melodie imbastite a favore delle donne, e un ritornello in chiave Breeders (toh, c’è anche Kim Deal alle voci).
Questo è un lavoro riuscito, delicato a tratti, approcciato quasi timidamente, che non ha la pretesa di scrivere nessuna storia, e alla lunga, vince proprio per questo. Senza fronzoli, spiccatamente garage rock, distorto e dalle delicate venature country. Brava Courtney.
https://www.youtube.com/watch?v=bR9b2ZNi2qk