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Svalbard – It’s Hard To Have Hope

2018 - Holy Roar Records / Translation Loss / Tokyo Jupiter / Through Love
post metal

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Tracklist

1. Unpaid Intern
2. Revenge Porn
3. Feminazi!?
4. Pro-Life?
5. For The Sake Of The Bleed
6. How Do We Stop It
7. Try Not To Die Until You’re Dead
8. Iorek


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La speranza non è l’ultima a morire. Il nuovo lavoro degli inglesi Svalbard, “It’s Hard To Have Hope”, uscito a due anni di distanza dal primo full lenght “One Day All This Will End”, è il manifesto moderno, veritiero, inevitabile e crudo del nostro vivere. Si tratta di otto tracce che segnano l’ascoltatore nel profondo, non solo da un punto di vista musicale, ma anche (e soprattutto) da quello della critica alla società odierna, schiava di una serie di tremende libertà che si è permessa di prendere sul corpo stesso dei suoi protagonisti. Le tematiche trattate in questa incredibile opera ibrida fatta di post-hardcore, post-rock e crust vanno dalla difesa della figura della donna all’animal welfare, fino al mercato (ingiusto) del lavoro, all’interno del quale vengono diametralmente sfruttati giovani e anziani, in un tornado di ingiustizie votate allo “sviluppo economico”.

La voce di Serena Cherry, capace di tormentare e rasserenare, a seconda del sound che la accompagna, rappresenta il vero snodo cardine per comprendere gli Svalbard, come nel caso delle precedenti release: traspare la rabbia, ma viene fatto passare anche un messaggio di vicinanza ai più deboli e agli ultimi. La band si batte ad armi sguainate profondendo una sforzo fatto di testi complessi ma al tempo stesso diretti, innestati su arie strumentali devastanti e talvolta fuori da una qualsiasi classificazione di genere. Basti pensare alla traccia di apertura, Unpaid Intern, atto d’accusa contro la barbarie dei tirocini lavorativi non pagati, il quale prende forma su una base che a tratti ricorda il melodic hardcore degli ultimi 10 anni.

Paragonare gli Svalbard a un qualcosa di “già visto” o “già sentito” risulta molto complesso, soprattutto se si pensa al connubio incredibile, creato dal quartetto di Bristol, tra aspetto meramente concettuale e sostanza puramente musicale/stilistica dell’intero lavoro. Da un lato, i testi di tracce come Revenge Porn e Feminazi!?, incentrati sulla tematica della donna, del suo corpo e della sua difesa, si ergono come una muraglia culturale contro lo strapotere dell’uomo e dell’abuso maligno del mondo di Internet; dall’altro, si viene accompagnati in un valzer di melodia e post-black dai toni futuristici, ovverosia la vera arma in più di questa band.

A sorreggere le fondamenta di “It’s Hard To Have Hope” ci pensa la solidità di For The Sake Of the Breed, inno animalista contro il sempre più proficuo commercio di cani e gatti di razza, a discapito di quelli rinchiusi nelle gabbie di centinaia di rifugi più o meno legali sparsi per il Regno Unito. C’è anche spazio per una traccia più personale, Try Not To Die Until You’re Dead, nella quale la stessa Serena Cherry accende la luce su tutte quelle malattie debilitanti e portatrici di depressione che colpiscono alla cieca, e che spesso sono ignorate dai più.

Con questa vera e propria fatica discografica, senza dubbio dispendiosa a livello di contenuti, gli Svalbard si pongono attualmente come una delle chiavi di lettura culturale più alte degli ultimi anni: spesso si trascendono certi argomenti, si mettono da parte o semplicemente si ignorano, per non doversi rapportare dolorosamente con essi. Questa band fa tutto l’opposto, è “It’s Hard To Have Hope” ne è la risposta concreta.

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