Immaginate di essere un esploratore dei secoli scorsi, che si imbarca o incammina alla scoperta di territori o mari sconosciuti le cui varietà si alternano nella perfetta armonia dell’ignoto. Odori, sapori, sensazioni ed emozioni che si susseguono assieme o distinte; talvolta confondendovi, o altrimenti indicandovi la via.
Ciò è quanto può accadere al primo ascolto di “St. Peter”, il nuovo album di Emma Tricca, cantante italiana trapiantata a Londra. Musicalmente viene definita “Folk”, ma è palese fin dalla prima traccia, Winter, my Dear, che si tratti di qualcosa di più complesso ed elaborato, senza però perdere spontaneità e profondità. La voce di Emma infatti ha molto di jazz, sebbene questa sfumatura venga contenuta a parte rare eccezioni. Ci sono anche richiami al folk classico americano ed alle voci femminili trascendenti delle varie band e progetti musicali di ispirazione celtica, con un ermetismo nei testi che ci fa intuire la maturità a tutto tondo dell’artista. Le canzoni raccontano scorci, panorami, vicende e sentimenti che ancora risuonano dal passato come una corrente di risacca verso il largo del nostro presente. Lo fanno senza pretese o prepotenza, tramite la voce assertiva e fluida della cantante, che al contempo non ha paura di interrompersi e lasciare spazio al reparto strumentale, altro grande punto di forza del disco.
La presenza di una artista di fama mondiale come Judy Collins, il batterista dei Sonic Youth Steve Shelley, e Jason Victor, chitarrista dei Dream Syndacate, si rivelano la perfetta alchimia per accompagnare in modo equo: senza annichilire la voce, o metterla in secondo piano, intagliando atmosfere uniche e profonde.
Rispetto ai lavori precedenti, “Minor White” (2009) e “Relic” (2014), questo nuovo lavoro conferma la crescita artistica e le capacità musicali e vocali della cantante. L’impressione è che gli album stessi siano un diario di questo viaggio continuo di ricerca dentro e fuori se stessa, e che in fin dei conti ogni paesaggio o situazione cantata, accada prima di tutto interiormente. Adottando questa chiave di interpretazione, non si può che rimanere ammutoliti dalla delicatezza e dalla capacità di comunicare emozioni in modo cosi personale, con una discrezione che però non finisce nell’autocensura. Abbiamo quindi tra le mani un diamante grezzo nel quale rifletterci e riflettere il mondo che ci circonda, che speriamo cresca con noi e noi con lei, continuando questo viaggio di ricerca musicale ed introspettivo in noi stessi e nel mondo.
Per concludere, “St Peter” è il disco adatto per chi sia in cerca di un suono pulito ed ancora spontaneo e confidenziale, coraggioso nel porsi con linguaggio carico di un retrogusto di emozioni che non vogliono nascondersi ma che richiedono volontà di ascolto e comprensione. Perchè in fin dei conti Emma è come se avesse aperto uno squarcio nel tempo, e tramite questo “diario di viaggio” spera che noi la si possa raggiungere, arricchendoci come lei e con lei di esperienze e sonorità che probabilmente fino ad oggi ignoravamo.