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Marduk – Viktoria

2018 - Century Media
black metal

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Tracklist

1. Werwolf
2. June 44
3. Equestrian Blood
4. Tiger I
5. Narva
6. The Last Fallen
7. Viktoria
8. The Devil's Song
9. Silent Night


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Questa faccenda che per essere un “trve blackster” si debba essere in fissa con armi, mostri/demoni/Satana, guerra e stronzate like this ha francamente stancato. Ancor di più se oltre ad una semantica e un immaginario stantìo come questo si aggiungono anche le solite foto promozionali con quattro “biechi” personaggi coperti di memorabilia provenienti dalla Seconda Guerra Mondiale.

Se a questo corollario d’inutilità anacronistiche sommiamo pure un modo d’intendere il genere così passatista e incollato alle proprie origini senza un minimo di spinta in avanti – che nel black è avvenuta e continua ad avvenire – otteniamo i Marduk. Il quartetto svedese sembra incapace di guardare al di là del proprio naso e difatti continua a sfornare copie del medesimo disco ad ogni sortita in studio. Per carità, presumibilmente i fan più trveci (scusate) saranno pure ben contenti, ma diciamo che di un altro album sulle stesse coordinate dei precedenti cinque – ad esser buoni – non se ne sentiva il bisogno. Ammetto di aver apprezzato il lavoro del gruppo fino a “World Funeral”, disco che ha visto l’allontanamento dell’ottimo Legion in favore del flebile Mortuus, ma ad una certa il giochino ha stancato pure me che di questo genere son ghiotto.

A prendere in esame la copertina di “Viktoria” si potrebbe anche pensare ad un seppur minimo cambiamento di rotta, ma mai giudicare un album dalla copertina. Infatti appena parte Werwolf ci troviamo davanti al solito calderone di cliché black metal da far piangere: blast, grida che ora come ora non spaventerebbero nemmeno la nonna di Young Signorino, chitarre ronzanti e batteria registrata in chissà quale super studio ma trasformata in una serie di fustini del Dixan, bucati per giunta – e se lo fa Lars Ulrich è uno scemo, se lo fan questi tizi pittati come a carnevale invece che grandi.

Dal punto di vista lirico non aspettatevi dunque alcun tipo di sorpresa: nostalgia verso i tempi di guerra, parallelismi con una determinata branca orrorifico/satanista e altre amenità di questa risma. June 44 guarda caso batte nuovamente su questo tasto e annoia sin dal decimo di secondo, esattamente come Narva, dedicata OVVIAMENTE alla città teatro di una famosa battaglia svoltasi nel 1944. Segue sbadiglio. Illude l’incipit simil-satyriconiano di The Last Fallen che si traduce immediatamente nel solito ritrito pezzo black da quattro soldi.

Si avverte un leggero spostamento dell’attenzione sui due brani più lenti ovvero Silent Night e Tiger I (sì, il solito panzer), il cui gradiente Sabbath/drone si fa sentire, ma che non è sufficiente a rendere il tutto meno “polveroso” di quanto non sia già a questo punto.

A conti fatti i Marduk non sono intenzionati a muoversi di un millimetro da quanto già fatto e continuo a non comprendere come sia possibile apprezzare una sequela interminabile di copie carbone dello stesso disco. Come dicevo in apertura d’articolo: anacronistici. Nel 2018 non riesco a cogliere la differenza tra questo mondo e quello della trap. Giuro.

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