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Deafheaven – Ordinary Corrupt Human Love

2018 - Anti-
black metal / blackgaze / indie rock

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Tracklist

1. You Without End
2. Honeycomb
3. Canary Yellow
4. Near
5. Glint
6. Night People
7. Worthless Animal


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I trve haters avranno di che sbizzarrirsi nel prendere di mira “Ordinary Corrupt Human Love”, nuovo album dei Deafheaven. Il che lo rende già di per sé il disco dell’anno.

Il combo californiano capitanato da George Clarke e Kerry McCoy porta ad un altro livello di maturità aristica la sua atipica creatura. Se con “Roads To Judah” il manto blackgaze veniva abbellito e indossato con grazia fino a quel momento inusitata, su “Sunbather” ad esser preso “di mira” era invece l’ambito shoegaze più puro e “New Bermuda” rileggeva in maniera aggraziata e gentile il death più oscuro e putrescente qui tutte queste realtà collidono in un unico punto, punto in cui riposava quieta una belva indie dai canini scintillanti.

L’assolo che spezza i 12 minuti di Honeycomb potrebbe essere infatti scritto da J Mascis o Bob Mould ed è assurdo trovarlo in mezzo a tanta ferocia black. Stessa cosa si potrebbe dire degli arpeggi inanellati per tutta la durata di Canary Yellow, timido baluginio che implode tramutandosi in un uragano violento e incanalato in spaventose svisate indie-black. L’opener You Without End è poi una dichiarazione d’intenti non da poco: pianoforte toccante, spoken word di seta ad opera di Nadia Kury, chitarre che avviluppano con calma e chiarezza e Clarke che entra come un mostro qui e là a far brandelli della pace interiore fin qui acquisita. È ancora “indie” la parola che viene in mente e aprire un album con una ballad è uno schiaffo che rimbomberà in più d’una chiesa bruciata. Sensazioni che tornano dominanti nella pianocentrica delicatezza di Night People, sugli scudi una rinata Chelsea Wolfe e Ben Chisholm.

Si infrangono sogni sotto volte di grigio candore nelle spire di Near, stasi che riunisce nel suo ampio respiro elettrico impreziosito da effetti languidi schegge degli ultimi Mogwai e dei migliori Slowdive, di quelli più sereni, calmi e infestati da un triste amore infranto. Il crescendo emozionale di Glint porta a vette di bellezza invereconda, quasi ad essere inchiodati ad un rollercoaster infernale in cui odio, tristezza e languori zuccherini si incontrano increspando un oceano di fiamme.

I Deafheaven raggiungono una sorta di apice stilistico e ci donano il loro disco “indie”, della svolta e della maturità al tempo stesso. Perfetto ed intenso senza mezze misure. A venir corrotto qui è solo l’immobilismo di chi li osserva non riuscendo ad immergersi in questo oceano che ribolle tra diamante e mestizia. Bisogna proprio essere privi di cuore per non saggiarne l’elevazione spirituale.

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