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Ty Segall & White Fence – Joy

2018 - Drag City
rock / psichedelia

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Tracklist

1. Beginning

2. Please Don't Leave This Town

3. Room Connector

4. Body Behavior

5. Good Boy

6. Hey Joel, Where You Going With That?

7. Rock Flute

8. A Nod

9. Grin Without Smile

10. Other Way

11. Prettiest Dog

12. Do Your Hair

13. She Is Gold

14. Tommy's Place


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La produzione musicale ci ha regalato nel corso dei decenni centinaia di collaborazioni e progetti comuni, tra artisti dalle stesse origini e stili musicali, oppure diverse, portandoci interessanti sperimentazioni. Ty Segall e White Fence, con “Joy”, secondo album dei due a distanza di sei anni dal primo, “Hair”, non ci presentano però solo l’ennesimo duetto, bensì qualcosa di più alchemico e neurale, una porta su uno spaziotempo musicale dove gli anni ’60 non sono mai tramontati, o se appartenete a generazioni più recenti, una porta temporale che come il romanzo “11.22.63” di Stephen King, ci porta in uno degli anni a metà dei ’90, all’ombra delle sfumature più psichedeliche del grunge, vedi alla voce Sonic Youth. 

Joy” ci presenta una carrellata di quindici pezzi mediamente sotto i due minuti e mezzo, con alcune eccezioni. L’ascolto risulta molto fluido e piacevole, tra ballate e pezzi più intensi come Other Way, o lanciati nelle sfumature più rock psichedelico tipo She Is gold. La sinergia è molto ben bilanciata e non lascia mai spazio a prevaricazioni o eccessivi personalismi che possano rendere l’album ripetitivo o arido. Rispetto al precedente “Hair” (2012), è evidente una crescita di stile e di ricerca, che da un lato ci regala atmosfere davvero notevoli e diverse dalla media del panorama musicale attuale, ma dall’altro lo rende apprezzabile ai (troppo) pochi degustatori di musica “fatta in casa”. Utilizzo questo termine perché “Joy” porta con se sfumature low-fi e garage rock piuttosto marcate, del resto uno dei marchi di fabbrica dello stesso Ty Segall: tecnicismi presenti non per necessità di budget, ma appunto, per un discorso di stile e creativo che possiamo ritrovare anche nei lavori precedenti dello stesso (consiglio vivamente “Freedom’s Goblin”).

Ma se Segall è la spina dorsale più rock dell’architettura melodica dell’album, White Fence è il “mitigatore” psichedelico che regala arie più trascendenti e sparse nello spaziotempo musicale, rendendo le tracce dell’album più fluide senza però annacquarle o trasformarle in banali b-sides nostalgiche di epoche musicali per la maggior parte sepolte o rinnegate. A livello di testi possiamo ritrovare un certo ermetismo simbolico che, come tutto il resto, si rifà ad alcune correnti rock psichedelico degli anni ’70, ma anche – come dicevamo prima – allo stile di scrittura delle band grunge o alternative degli anni ’90. Sono liriche che bene o male parlano di storie molto semplici, per alcuni tratti di attrazione e di amori che potrebbero risultarci quasi adolescenziali, ma anche più intricati ed ossessivi come il “She is gold/She is such(?)/Disruption/Should go/Feels like salt in”, di She is gold.

Joy” è quindi un lavoro forse non notevole ma interessante, un arcipelago di isole distanti che attrae il navigante medio che le osserva incuriosito, ma non fino al punto di modificare la rotta per esplorarle. Del resto non fa proprio parte dello stile o della personalità sia di Ty Segall che di White Fence quella di ergersi come ultimi baluardi del rock più creativo e psichedelico, ma quella di artisti capaci di seguire la propria onda creativa senza lasciarsi catturare dalle ansie del successo, del business, del sold out o di zuppe pop musicali orecchiabili ma senza una reale anima.

Non c’è nessun desiderio di apparire ed attrarre, ma di essere e di esistere indipendentemente dal contesto musicale e culturale predominante, lasciando aperte porte “artistiche” sul passato che aiutino a raccontare il presente, speziando quelle sfumature rese moribonde da logiche di mercato e non di qualità musicale.

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