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“Nothing’s Shocking”: senza limiti, senza pudore

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Gli anni ’80 si sono presi tanto e altrettanto hanno portato, imbrigliando gli artisti nella morsa di un mondo in espansione e di un mercato che divorava gruppi e musicisti a velocità all’epoca considerata supersonica, trasformandoli talvolta in star immortali ma il più delle volte in semplici meteore di plastica. L’oscurantismo perbenista degli Stati Uniti mostrava lati anomali, e le etichette discografiche abbracciavano questo dualismo inesplicabile tentando di guadagnare denaro dalle nuove realtà oblique che sfidavano il potere costituito in tutti i modi possibili ed immaginabili.

Dallo scontro tra Frank Zappa con il Parents Music Resource Center culminato nel 1985 con il discorso del compositore dinnanzi al Senato il mondo del rock sembrava uscito con rinnovata forza in contrapposizione all’idea fallace di “porn rock” e della possibilità di vedere il proprio lavoro artistico (ritenuto pericoloso, cosa del tutto appropriata) censurato e additato di infrangere regole e leggi – de facto infrangendo a sua volta la libertà di espressione enunciata nel Primo Emendamento della Costitutizione del Paese delle Libertà. Ma più il governo statunitense cercava di obnubilare la pericolosità di testi, musica e arti grafiche e più sbucavano artisti determinati a sputare in faccia alla segregazione artistica, e le major, ghiotte del dualismo tra proibito ed introiti stellari, non hanno resistito dal mettere sotto contratto alcuni tra i più controversi gruppi in circolazione. Tra questi svettavano in un certo modo i Jane’s Addiction e il loro “primo” vagito “Nothing’s Shocking” sembrava giurare battaglia a gente come Tipper Gore che sentiva il dovere di avvertire i genitori del pericolo imminente della perdita dell’innocenza dei loro sacri bimbi.

“Se ci volete dovrete sottostare alle regole del nostro modo di essere”, sembravano tuonare queste band alle grandi etichette. Quindi se una di queste aziende voleva cavalcare l’onda di questa nuova musica nascente a cui si affibbiò il termine ampio di “crossover” doveva accettare le richieste artistiche di coloro che avrebbero fruttato loro lauti compensi. La Warner Bros. non voleva farsi sfuggire il gruppo di Perry Farrell e così, alla richiesta di quest’ultimo e dei suoi compagni Dave Navarro, Stephen Perkins ed Eric Avery circa una completa libertà artistica la label si è letteralmente piegata al volere del quartetto vincendo per loro la battaglia della tanto agognata libertà: “Volete sentire qualcosa circa la guerra delle offerte delle etichette?,” – chiese Farrell ad un giornalista di BAM nel 1988 – “Li abbiamo costretti a baciarci i piedi”. E così il gigante discografico sfornò un contratto di ben 7 album. Ma la storia andò diversamente, in tanti sensi.

La suddetta completa libertà artistica ha portato il gruppo a sfornare una copertina deliziosamente controversa che prevedeva la presenza di una scultura femminile “gemellare”, senza veli e con le due teste avvolte dalle fiamme. Una cosuccia non da poco, giusto per guardare negli occhi gli alti papaveri del contratto sfidandoli a vendere un prodotto così spinto benché concettualmente in perfetto sodalizio con il titolo dell’album che diceva a tutti “qui non c’è nulla di shockante”. È “solo” arte. È “solo” sesso. Altre cose non da poco, dal punto di vista dell’artista Farrell. Quel che il gruppo non aveva messo in conto erano i grandi retailer statunitensi del disco che si rifiutarono di mettere in commercio il prodotto rispedendolo al mittente e obbligando band ed etichetta ad adottare una soluzione di comodo, ossia avvolgendo l’album in un involucro di carta marrone – una cosa simile è accaduta più di recente ai Death Grips e al loro “No Love Deep Web” costretti a includere il cd in un packaging di pelle nera e piazzare disclaimer per tutto il web, per l’appunto. 

Eccentrici in tutto e per tutto i Jane’s Addiction incarnano arte e diversità sin dall’immagine che danno di loro in favore di obiettivo: vestiti multicolore, trucco, capelli assurdi e sicumera arty di non rara fattura al tempo. Ognuno a modo suo dava l’idea di essere un mondo a parte ma nessuno catalizzava più l’attenzione del padre-padrone Farrell. Artista, visionario oppure solo uno stronzo epocale dalle idee precise e incontrovertibili: “Il tempo dei sacrifici e dei compromessi è finito,” – chiosava nel 1991 – “Sto facendo molto di più che condividere il mio dolore. Penso di essermi guadagnato il mio modo di vivere e quello di fare l’arte come più mi aggrada”. I restanti tre non fanno solo da contorno ma di certo non prendono lo stesso spazio nel campo visivo/sonico della band, nemmeno Navarro, col suo modo di suonare stramboide e impossibile da incorniciare con giornalistica precisione.

Quello che i JA dimostrano in “Nothing’s Shocking” è la possibilità di riprendere modi e suoni provenienti dalla stagione psichedelica del rock e piegarli ai sintomi metallici in ascesa grazie a Red Hot Chili Peppers e Faith No More coprendo uno spazio differente da quello degli esimi colleghi e proprio grazie alla vocalità femminilmente punk rock del frontman, i testi lascivi e spiritualmente ambigui, umani e distortamente reali. Had A Dad è un affronto punk sull’essere abbandonati da Dio in persona in combinazioni multiple sferzato da un chitarrismo aggressivo e verace, così come la sognante elettricità di Ocean Size che visualizza un mare ad effetto caleidoscopico.

L’onda psych che s’infrange sull’intervista del serial killer Ted Bundy nell’acida Ted, Just Admit It… porta in sé il germe dello shock rock vero e proprio. Scritta durante un trip in acido da Farrell dispiega propaggini colorate in direzioni sempre diverse e culmina in un “sex is violent” ripetuto al vomito in mezzo al brano. L’eco del crossover in tutta la sua sfavillante sfrontatezza esce allo scoperto su Idiots Rule dal testo diretto – al grido di “idiots obey!” – e impreziosito dalla sezione di fiati composta nientemeno che da alfieri del “genere” come Angelo Moore dei Fishbone (altri outlaw di rilievo), Flea dei Red Hot (qui alla tromba, strumento che suona in modo eccelso, se potete recuperatevi il suo solista “Helen Burns”) e Christopher Dowd oltre alla sezione ritmica che fa del jazz-rock croce e delizia, sferzata dalle chitarre funkadeliche di Navarro. Dave dimostra un gusto per la pesantezza avulso alla quasi totalità dei suoi colleghi dell’epoca e si nota facilmente sulla micidiale traccia conclusiva Pig’s In Zen, infestata da effetti e da sei corde di piombo ma pur sempre funkeggianti.

Nonostante la band fosse decisamente ai ferri corti, col cantante intenzionato solo a prendersi royalties su royalties – la leggenda vuole che Farrell decretasse come suo il 60% degli introiti del gruppo, lasciando agli altri le briciole portando il quartetto alla quasi distruzione – l’energia (e la sinergia) dei quattro si fa distruttiva ed inarrestabile: un brano epico, gonfio e devastante come Mountain Song è il singolo che chiunque vorrebbe scrivere ma che a pochi è riuscito. Tra chitarre nasali, voci oniriche e tribalismi ritmici rock a stretto giro il brano è un lasciapassare per quel che verrà di lì a pochi anni sul successivo capolavoro “Ritual De Lo Habitual”. Purtroppo MTV taglierà significative parti del video del brano rendendo impossibile a chiunque godere dell’idea iniziale partorita da Farrell e da sua fidanzata dell’epoca Casey Niccoli, immortalati nudi e crudi. La censura uscita dalla porta è rientrata dalla finestra mutilandone l’arte, ancora una volta.

L’espressione crossover non è mai usata a caso e i JA lo dimostrano di continuo. L’attitudine jazzy che serpeggia in ogni brano fa il paio con una visione world music che non scomparirà mai definitivamente dalla mente della band. Jane Says è un fulgido esempio di ciò: non è solo uno “zuccheroso” – per quanto possa esserlo un brano incentrato sulla prosituzione – intermezzo acustico tra lo sferragliare psych-”metal” dei restanti brani ma anche un bel modo di sperimentare flebili ritmiche calypso grazie alla kettle drum di Stephen Perkins – facente parte di una sconfinata collezione di batterie e percussioni, a sentire Farrell. Il risultato è un pop caraibico cantato da un punk innamorato dell’idea di se e romantico come solo un punk potrebbe essere. D’altro canto Perry è di estrazione musicale prettamente new romantic e goth rock e non perde occasione per dimostrarlo.

Ok, siamo tutti d’accordo che “Nothing’s Shocking” non sia a tutti gli effetti il capolavoro della band, ma per quanto la carne al fuoco fosse più di quanta si potesse mangiare in un solo pasto i Jane’s Addiction portarono in seno al rock un nuovo modo di porsi, un ibrido glam e violento nella resa, ma tremendamente pesante nel suo ruolo artistico, altrove lasciato al caso e alla lettura dei fan. Qui invece la strada la determina il gruppo e all’ascoltatore non resta che sedersi e godersi il trip. L’esplosione – e la fine – arriverà su “Ritual”, ma questo embrione battezzerà la controcultura rendendola materiale esplosivo e nuovamente pericoloso. Con buona pace di MTV e delle varie Tipper Gore.

E come disse Farrell: “Ci sono tante band come i Guns’n Roses in giro. Non ce ne sono invece molte come noi”.

P.S.: oggi non servirebbe un organo governativo per censurare pezzi come Ted, Just Admit It… o video come quello di Mountain Song. Ci penserebbe direttamente il pubblico. Potrebbe risultare una chiusura scontata ma ragionarci a mente fredda fa spavento. Meno male che questo album è uscito 35 anni fa. Per dire.

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