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Death Cab For Cutie – Thank You For Today

2018 - Atlantic
indie rock

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Tracklist

1. I Dreamt We Spoke Again
2. Summer Years
3. Gold Rush
4. Your Hurricane
5. When We Drive
6. Autumn Love
7. Northern Lights
8. You Moved Away
9. Near/Far
10. 60 & Punk


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Memoria, parla. L’invocazione di Giovanni Lindo Ferretti potrebbe ben riassumere l’excursus poetico di Ben Gibbard in seno ai suoi Death Cab For Cutie, creatura nata dalle sue mani giusto poco più di vent’anni fa. Ricordi di fatti, eventi, episodi, ma soprattutto di emozioni: quelle che la memoria ci fa rivivere e rimembrare, che sono poi le uniche che contano. Un uomo schiavo delle proprie nostalgie, si direbbe. In realtà, Gibbard affronta oggi come ieri gli stessi temi (“Non scrivo a tavolino, semmai riporto fedelmente ciò che mi passa per la testa e mi succede intorno nel momento in cui mi metto a scrivere”), ma con una prospettiva, un punto di vista inevitabilmente nuovi: quelli di un quarantenne conscio di vittorie e conquiste, di esperienze non più disperanti, soffocanti, ma rilette alla luce di una nuova consapevolezza, e utili semmai a riflettere e ad ascoltarsi.

Ciò non toglie che a Gibbard piaccia giocare con i propri fantasmi: che questo “Thank You For Today” esca il 17 agosto 2018, a quasi vent’anni esatti di distanza dal debutto “Something About Airplanes” (18 agosto 1998) sembra più di una coincidenza. E poco casuale sembra anche che I Dreamt We Spoke Again chiuda il cerchio su vent’anni di carriera, in maniera quasi autocelebrativa. Il pezzo che inaugura questo nuovo album a dir il vero recupera certi stilemi tipici di “Narrow Stairs”, album anomalo, deviazione dalla norma per la band di Bellingham, con un Chris Walla in grande spolvero e principale sponsor di quel disco. “Thank You For Today” è il primo vero disco in cui il chitarrista non partecipa, e la sua assenza si sente: ogni possibile abrasione e scartamento sono banditi a favore di una reductio ad unum che sa di punto a capo, di ripartenza per la band. Il testo è quanto di più gibbardiano ci possa essere: “I dreamt we spoke, I dreamt we spoke again, It’d been so long, it’d been so long, your voice was like a ghost”. E quindi si sposa a meraviglia con le melodie sognanti e classiche che lo accompagnano.

Questo non vuol dire che il disco sia piatto o noioso. Anzi, la prima parte in special modo possiede una forza lirica e melodica che i DCFC non hanno spesso messo in mostra. Uno dei pezzi migliori del lotto arriva subito al secondo posto: Summer Years affonda di nuovo in quel coacervo di memorie che arrivano a galla soprattutto d’estate appunto, quando fa caldo, il corpo è molle e i ricordi ne approfittano per tornare alla ribalta, inoffensivi ma impertinenti. Col singolo Gold Rush si torna a muoversi in maggiore, con una batteria (tanto di cappello per il sample da Mind Train di Yoko Ono) che sembra scimmiottare l’indaffarsi dei cantieri di demolizione, coi grattacieli di Seattle simbolo dei pochi punti fermi che vanno in fumo, lasciando il posto al vuoto che stiamo ancora cercando di riempire. Vuoto che in qualche modo colmiamo momentaneamente godendo dei piaceri che possiamo e vogliamo cogliere. Come un tramonto, i capelli scompigliati al vento, i nostri cari addormentati sul sedile posteriore dell’auto nell’inno all’amore realista di When We Drive: realista ma non per questo meno intenso.

Come spesso accade nei dischi dei Death Cab For Cutie, il disco si fa più rassicurante, conciliante man mano che si procede nell’ascolto. Un peccato veniale inevitabile, forse, per una band che non ha mai cercato di destabilizzare, di stupire (se non in pochi, eccitanti episodi), ma semmai di descrivere con la musica e le parole più appropriate la malinconia, la nostalgia, i vuoti d’anima, le tentazioni, le debolezze e tutti quegli accidenti con cui ci ritroviamo in un modo o nell’altro ad avere a che fare nella vita. E in questo Gibbard e soci sono maestri, poco da dire.

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