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“Definitely Maybe”: la fulminea ascesa degli Oasis al trono del brit pop

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Troppo spesso la produzione degli Oasis è stata rivalutata a posteriori sulla base delle vicende contorte di una carriera tra le più tormentate e chiacchierate che la storia del rock ricordi. I malumori e le scazzottate dei fratelli Gallagher hanno di fatto il più delle volte soverchiato l’aspetto musicale, contribuendo comunque a rendere mito ogni passo di una band in grado in pochi anni a risvegliare gli istinti del popolo britannico come e forse più dei tempi della beatlesmania.

Si parlò infatti a ragion veduta di oasismania per un fenomeno che in fondo non fu nient’altro che un magico ed esplosivo incontro tra domanda ed offerta in un mercato musicale che chiedeva qualcosa di nuovo e allo stesso tempo rassicurante. Erano gli anni del grunge, ma nelle serate grigie di Manchester e Londra, tra i giovani – operai stanchi o adolescenti annoiati – serpeggia il fremente e naturale desiderio di un rock meno edificante, più edulcorato, svagato e caciarone, ma comunque rappresentativo.

Gli Oasis, che proprio a Manchester sono cresciuti, in questo sono perfetti con le loro facce da culo, sfacciate e perennemente incazzate di chi sembra aver bevuto un paio di birre di troppo. Se ne escono fuori da qualche garage e, complice l’incontro a Glasgow con il boss della Creation Alan McGee durante un concerto in terra scozzese, in poco tempo diventano un fenomeno incontrollabile, arrivando ad intrattenere le arene di mezzo mondo neanche fosse la cosa più semplice.

Detta così, sembrerebbe di essere di fronte ad una storia che con l’aspetto artistico della musica non ha nulla a che vedere. Invece gli Oasis hanno un talento cristallino e nello scrivere e cantare ballate tanto semplici quanto universali non sono secondi a nessuno, soprattutto in quell’universo brit-pop per il quale nessuno, prima dell’avvento della band di Manchester, avrebbe mai immaginato uno sviluppo tanto smodato.

C’è tutto questo in “Definitely Maybe”, album di debutto pubblicato nel 1994 e che si piazzò subito al vertice della classifica britannica per dilagare poi rapidamente nel resto del mondo. L’abilità compositiva di Noel, che si mostra con facilità disarmante, e la voce di Liam formano un mix unico, una miscela esplosiva e nazionalpopolare che ha dato senso e svago ad un pubblico trasversale che non chiedeva altro: una manciata di inni faciloni da urlare nelle più svariate occasioni in una sorta di rinato bisogno di condivisione. Chitarre pop-rock, un onnipresente e leggero delay a dare quel senso di perenne sospensione, ritmiche elementari ma decisamente trascinanti, testi che il più delle volte sforano il confine della banalità, voce sguaiata e pretestuosa: è questa la formula sbagliata ma vincente di alcuni dei brani pop-rock più importanti degli anni ‘90 che hanno riportato a conti fatti la Gran Bretagna sul trono del rock.

Difficile non citare l’azzardo sfacciato dell’opener Rock’n’Roll Star, dichiarazione di intenti insostenibile che avrebbe dovuto azzoppare chiunque, ma che invece è solo il prologo per più di un paio di quei classici di cui è costellata la prima parte della carriera della band. Su tutti sicuramente Live Forever, vero e proprio prototipo (già perfettamente funzionante) di ogni futuro successo, con quella sua confortevole struttura circolare e quella cantilena storta così difficile da scacciare via che già dal titolo si poneva in aperta antitesi con l’anima autodistruttiva del grunge.

Anche l’atmosfera massiccia di Supersonic, quella emozionale di Slide Away e quella tracimante di Cigarettes & Alcohol non si discostano dagli elementi principali della ricetta, e anzi conferiscono sapori diversi, garantendo una discreta e sicura riserva di inni tanto da pub quanto da arena. C’è qualcosa da ricordare anche negli elementi minori, che rimangono chiusi però in una dimensione per così dire più intima, per affezionati: le influenze punk di Bring It Down, gli influssi noise di Digsy’s Dinner e quelli acustici di Married With Children, o infine il manierismo beatlesiano di Columbia Shakermaker

Adorato fin da subito dalla critica e dal pubblico, “Definitely Maybe” è diventato sicuramente qualcosa di molto più grande di quello che era in realtà e cioè un buon disco di pop-rock britannico, semplice, spontaneo e fulmineo anche se imperfetto e rudimentale, ma che aveva il pregio di essere stato inciso e pubblicato nel momento esatto in cui ce n’era realmente bisogno. 

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