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Back In Time

Back In Time: METALLICA – …And Justice For All (1988)

Giustizia per tutti, ma non per il povero Jason Newsted. Ancora oggi, a tre decenni esatti dall’esordio con i Metallica e a più di quindici anni dal suo sofferto addio, il talentuoso sostituto di Cliff Burton reclama vendetta: chi gli restituirà quell’inutile settimana di duro lavoro trascorsa agli One on One Recording Studios di Los Angeles? Di certo non James Hetfield e Lars Ulrich, che non hanno mai mostrato un briciolo di rimpianto dopo aver preso la scelleratissima decisione di rendere praticamente impercettibile il contributo dello sfortunato bassista alle nove canzoni di “…And Justice For All”.

Una scelta talmente infelice da spingere un professionista rispettato come Steve Thompson, il tecnico del suono cui spettò l’ingrato compito di occuparsi del missaggio del disco, a prendere immediatamente le distanze dal suo stesso operato. Non che a lui siano da addebitare troppe responsabilità; stando a un’intervista pubblicata su “Ultimate Guitar” nel 2015, Thompson si limitò a seguire le indicazioni di Ulrich, che per il successore di “Master Of Puppets” desiderava un suono ancora più abrasivo, secco e dirompente rispetto a quanto raggiunto in precedenza. Per ottenerlo la strada percorribile risultò essere solo una: immolare il basso di Newsted sull’altare del sacrificio agli dei del metallo.

Non giriamoci intorno: i Metallica sono arcinoti per il loro cattivo rapporto con gli studi di registrazione e i vari processi di produzione degli album. L’orripilante batteria di latta che deturpa il già di per sé non indimenticabile “St. Anger” e i volumi folli di “Death Magnetic”sono lì a ricordarci che a volte anche artisti di tale livello possono sbagliare in maniera clamorosa. Eppure “…And Justice For All”, con tutti i suoi innegabili difetti per quanto riguarda prettamente la resa sonora, è un disco dal fascino assolutamente unico: l’ultimo tassello del periodo classico dei Metallica è un impressionante esempio di thrash metal progressivo e mutante; gelido e spietato come le mostruose creature che vivono nelle caverne delle “Montagne della Follia” nate dalla penna di H.P. Lovecraft, non a caso uno degli scrittori preferiti di James Hetfield.

Proprio quest’ultimo risulta essere il protagonista indiscusso dell’opera. Non la batteria martellante di Ulrich, né tanto meno la sei corde di un Kirk Hammett ancora immune al richiamo del wah-wah: qui più che altrove è la tagliente chitarra ritmica del frontman a rubare la scena, talmente imponente da fagocitare il basso di Newsted in un sol boccone e trasformarsi in un’implacabile macchina da guerra macina-riff. Privo di quelle sfumature che avevano reso “Ride The Lightning” e “Master Of Puppets”due gioielli del thrash più melodico e accessibile, “…And Justice For All” si rivela sin dalle prime battute un essere di natura diversa: Blackened non corre alla velocità di una Fight Fire With Fire o di una Battery, ma sul campo della pura violenza sonora le batte senza difficoltà puntando tutto su cambiamenti metrici repentini e strutture incredibilmente articolate.

Un passo in avanti considerevole per chi, fin dai tempi del fulminante “Kill ‘Em All”, non aveva mai fatto mistero di guardare con maggior interesse alla semplicità dell’hardcore rispetto alla laboriosità del progressive. C’è da dire però che se non si fossero presi la briga di cambiare le carte in tavola i Metallica, già fiaccati dalla tragica dipartita di una pedina fondamentale dello scacchiere quale Cliff Burton, avrebbero rischiato seriamente di perdere posizioni nella classifica dei “grandi quattro” del thrash.

Non che abbiano mai davvero corso il pericolo di abbandonare il trono, ma con rivali come gli Anthrax di “Among The Living” e gli Slayer di “Reign In Blood”di certo non potevano stare troppo tranquilli. Per non parlare poi dei Megadeth del nemico numero uno per eccellenza, l’ex chitarrista Dave Mustaine che, appena due anni dopo l’uscita di questo album, ci regalò la sua personalissima versione di thrash metal ipertecnico con il capolavoro “Rust In Peace”.

Hetfield e soci riuscirono a tenere ben stretto nelle mani lo scettro dei Big Four grazie alla loro fenomenale capacità di scrivere canzoni memorabili: e “…And Justice For All”, a fronte di qualche episodio magari meno ispirato rispetto a quelli contenuti nei suoi tre illustri predecessori, pullula di classici intramontabili. Tra questi vi sono senza ombra di dubbio la monumentale title track, nella quale si sposano alla perfezione antiche influenze NWOBHM e violente rasoiate in tipico stile Bay Area, e l’oscura, lenta e strisciante Harvester Of Sorrow: una prima, timida avvisaglia del fortunatissimo percorso hard rock inaugurato tre anni più tardi da “Metallica” (meglio conosciuto come Black Album).

Impossibile infine parlare di questo disco senza far riferimento a due tra i brani più belli e significativi nella carriera dei Metallica: l’implacabile Dyers Eve, che almeno fino a “Death Magnetic” del 2008 sarebbe rimasta l’ultima forsennata cavalcata dei Four Horsemen sulle piste infuocate del thrash, e soprattutto la celeberrima One. Ridurre questa meravigliosa mini-suite di sette minuti e mezzo e il videoclip che ne fu tratto a semplici trampolini di lancio nel patinato mondo di MTV non renderebbe giustizia al lavoro di Hetfield, Ulrich, Hammett e Newsted, che qui toccano vertici mai più neanche sfiorati nei successivi lavori.

Un brano epico, intenso e tragico come la storia che racconta, ispirata al romanzo “E Johnny prese il fucile”di Dalton Trumbo: in One Hetfield si cala nei panni di un soldato il cui corpo è stato devastato dall’esplosione di una mina che, oltre ad avergli portato via braccia e gambe, lo ha reso sordo, cieco e muto. La canzone, che inizia come una ballata dai toni delicatissimi per poi esplodere in una rabbia incontenibile, sembra quasi voler seguire il risveglio dell’uomo nel letto d’ospedale e descriverci la lenta presa di coscienza delle terribili condizioni in cui versa.

Il desiderio di morte che lo spinge a invocare la pietà di Dio nella prima parte del pezzo muta rapidamente in follia quando si rende conto di non poter abbandonare la prigione di carne nella quale la guerra lo ha condannato. E mentre il mondo esterno scivola via dalla memoria, lui sprofonda nell’inferno di una solitudine senza uscita. Nessuna giustizia, tanta emozione.

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