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Back In Time

Back In Time: TOUCHÉ AMORÉ – …To the Beat of a Dead Horse (2009)

Touché Amoré

I’m losing sleep/I’m losing friends/I’ve got a love, hate, love, with the city I’m in”: così cantavano i Touché Amoré nel loro inarrivabile album di debutto, uscito il 4 agosto 2009. “…To The Beat of a Dead Horse” ha portato fin dal principio la band capitanata da Jeremy Bolm al vertice di una rigogliosa quanto affollata classifica di artisti con la “a” maiuscola, capaci di dar forma e voce a quel post-hardcore che ancora oggi rappresenta un’incognita per gli addetti ai lavori del settore musicale. Il quintetto di Los Angeles, città perfetta e sfavillante solamente nel nome, si prodiga in questo 11 tracce con tutte le sue forze per portare all’ascoltatore un anelito di cupa, solitaria e quanto mai “emo” visione del mondo che ci circonda.

Una lunga passeggiata all’interno di un parco circondato da una recinzione fatta di sofferenze, perdite, sconfitte personali e dalla mancanza di un qualcosa a cui aggrapparsi (“With nothing to lose/you can’t lose at all”): il disegno sonoro e concettuale dei Touché Amoré guida verso una improbabile salvezza, in un contesto (cittadino) che non garantisce pace.

Touché Amoré

“…To the Beat of a Dead Horse” riflette tramite la sua scarna e immediata potenza tutto ciò che un animo tormentato può produrre, soverchiando il concetto stesso di cieca rabbia inconcludente; tutto ha un perché, una motivazione, una cornice capace di racchiudere un qualsivoglia pensiero, presente o futuro. La copertina stessa dell’album presenta una simbologia che acuisce la forza del suo contenuto, sfruttando un gioco di oscurità e agonia che nulla toglie all’inquietudine descritta e mossa passo dopo passo dal quintetto in ogni traccia. Una figura in bicicletta si dirige verso un destino incerto e, forse, un punto di non ritorno emotivo fortemente teso e ricco di pàtos.

A differenza di tanti altri colleghi rimasti imbrigliati volontariamente o a loro insaputa nel mondo complesso, atipico e talvolta evitabile e commercialmente misero dello screamo e del post-hardcore di metà anni ’00, i Touché Amoré si sono presi le proprie responsabilità utilizzando il loro primo capolavoro come un punto di partenza, e segnando per sempre la storia di questi generi con l’imponente Honest Sleep.

L’album ha fatto da spartiacque per tutto quel melodic hardcore in cerca di un nuovo punto fermo, in grado di rendere esplosivo ogni intermezzo e di alzare il ritmo (e il tiro) da un secondo all’altro con un’intensità di stampo defeateriano. La band, che arrivava da un solo demo, uscito tra l’altro per la No Sleep, ebbe la capacità di entrare fin da subito nel cuore (spezzato) di migliaia di ascoltatori, tramite una sincerità compositiva che poche altre band sono riuscite a raggiungere. Come affermato dallo stesso frontman in un’intervista a Blow the Scene, l’importanza di carpire il meglio del ventennio precedente all’uscita del disco ebbe non poca importanza sul risultato finale, mix punk quanto mai sperimentale:

“When the band started, our goal was to capture the sound of a lot of the 90’s screamo bands that we had a lot of love and attachment to. Overtime the hardcore kids in us came out and it became a marriage of the two.”

La produzione, scarna e in linea con la mentalità dei Touché Amoré relativamente a tutto ciò che questo album poteva portare con sé “all’epoca”, ha viaggiato sui binari dell’energia e della velocità, puntando ogni carta sulla capacità di Bolm di fare reparto da solo.

La difficoltà nel lavorare di coltello per andare a selezionare solo le parti migliori di “…To the Beat of a Dead Horse” è palese: due featuring di qualità elevatissima (Geoff Rickly dei Thursday e Jeff Eaton dei Modern Life Is War), una solidità quasi surreale garantita da Elliot Babin dietro alle pelli, unita agli intrecci chitarristici dritti e senza intoppi à la Verse, confezionano una delle opere musicali migliori dell’ultimo decennio.

Touché Amoré

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