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“Relationship Of Command”: questa stazione sarà sempre operativa

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C’è chi ringrazia Dio. Io ringrazio Ross Robinson. Per anni – gli anni in cui internet latitava o arrivava solo presentato da una serie fastidiosa di rumori provenienti da un modem “a carbone” – lui era la mia sicurezza negli acquisti il faro nella notte dello squattrinaggio, quando non potevi non cannarne uno altrimenti erano settimane di falene che uscivano dal portafogli. E dunque: vedevo un album prodotto da Robinson e subito lo compravo e non una volta una in cui mi sbagliai. Inutile dirvi che la stessa cosa accadde 18 anni fa con gli At The Drive-In.

A differenza degli altri album che acquistai con questa modalità “alla cieca” quello con “Relationship Of Command” non fu solo un colpo di fulmine ma uno stravolgimento nella mia idea di punk che, lo devo ammettere, a 14 anni non era davvero un granché. Quale che fosse quest’idea non la stravolsero bensì la corressero e lo fecero sulla base di un linguaggio che mandava piedi all’aria tutto ciò che era stato prima di loro. Per quanto dopo aver scoperto gli ATDI i mondi del post-hardcore e dello screamo si dischiusero davanti ai miei occhi ed entrò di prepotenza nel mio vocabolario musicale, più scoprivo band, album, scene e realtà e più mi rendevo conto che questa band era un passo avanti a tutti quanti e proprio grazie a quello che fu al tempo il loro album finale perché né il primo “Acrobatic Tenement” né tantomeno i piccoli gioielli “In/CASINO/Out” l’EP “Vaya” – che comunque in cabina di regia vedevano impegnato l’ex Fudge Tunnel e Nailbomb Alex Newport – raggiungevano la completezza di questo capolavoro di genere.

I testi alienati ed incomprensibili di Cedric Bixler-Zavala, i tempi impossibili concatenati da Tony Hajjar e Paul Hinojos, le chitarre speculari e agli opposti di Omar Rodriguez-Lopez e Jim Ward anziché creare un cortocircuito indigeribile si amalgamano alla perfezione e spingono verso l’alto il potere comunicativo fino a quel momento sì espresso, ma mai a questo livello di intensità e potenza.

La mano di Robinson è chiara, la calma con cui hanno registrato il disco anche, poiché fino a quel momento la band aveva lavorato di fretta, tralasciando idee a causa delle pressioni discografiche e dell’attività live. Con “Relationship” le cose cambiarono ed in meglio. In un’intervista dell’epoca su non ricordo quale giornale lessi che Ross pretendeva dalla band un impegno irriducibile soprattutto per quanto riguardava le parti di basso e batteria. Sono proprio queste a fare la differenza tra un buon album e un album incredibile, soprattutto in anni in cui il groove diventava parte irrinunciabile del sostrato di ogni genere, anche del punk che fino a quel momento aveva in mente solo una cosa: la velocità. Qui sono i mid-tempo a fare da padroni, sbilanciando l’immaginario comune in vista di una potenza strabordante.

Inizialmente la band non era convinta di lavorare con qualcuno che aveva registrato Korn, Limp Bizkit e Slipknot (band che a quanto pare non facevano impazzire Cedric) ma l’approccio di Robinson li convinse che era la persona perfetta. Il produttore li ha riuniti in studio, li ha messi a nudo chiedendo al cantante di cosa parlassero le canzoni (e Zavala ammise di essersi sentito in totale imbarazzo a spiegarne i contenuti anche solo ai suoi bandmates) e li esortò a suonare tutto live, non solo come mero metodo, ma come approccio: “Ross era tipo ‘Voglio che convogliate tutta l’energia nelle registrazioni’,” – raccontò il cantante in un’intervista a Punknews.org – “‘Vuoi rompere il microfono? Allora rompi questo cazzo di microfono, se vuoi puoi saltare contro il muro…voglio vedervi fare quello che fate dal vivo.’ E noi abbiamo pensato, beh, perché no? Non lo abbiamo mai fatto. Diamogli una possibilità.” Il risultato è qui da sentire: una roboante tempesta distruttiva che grida e scalpita, che si rinchiude in se stessa e si schiude irrompendo nella stanza, esattamente come un concerto.

Le bordate e le grida disumane di Arcarsenal (il folle “BEWARE!” che porta il pezzo alla chiusura è vera delizia), il punk adrenalinico e ultra-melodico di Pattern Against User e la ferocia post-hc di One Armed Scissor in cui i cori di Ward dimostrano tutta la loro vera strapotenza – mancano nell’ultimo album della band, oh se mancano. La nevrastenica Mannequin Republic si dibatte e scalcia, mentre Invalid Litter Dept. si squaglia nella melodia per poi scoppiare di colpo in un stomp elettrico innescato dal sussurro “dancing on the corpses ashes” (frase ripresa dal rapper/poeta Saul Williams nel suo brano Ashes, tra le altre cose). A dimostrare che i nostri non sono solo nervi e denti affilati le melodie malinconiche di Enfilade, il pianto post-umano di Quarantined e l’acido seventies di Non-Zero Possibilities. Davvero tanta roba sul fuoco per un semplice disco screamo.

E infine la presenza di Sua Maestà Iggy Pop. A sentire Cedric l’Iguana è stato colui che ha cambiato nella band la prospettiva sul punk e averlo sul disco fu un onore non da poco. “Lui si è unito alle registrazioni perché…oh Dio…A lui piaceva questa stupida canzone dei Limp Bizkit, ‘Nookie’ e allora ha seguito Ross dicendogli qualcosa tipo ‘Mi piacciono le cose che fanno i Limp Bizkit!’”, – a raccontare è sempre Zavala – “E Ross gli rispose che non c’entravamo niente con loro. Iggy ha chiamato un paio di volte e Robinson gli fa ‘sto lavorando con una band che mi ricorda te!’, e noi, imbarazzati, ‘che cazzo stai dicendo? Stai zitto!’ e invece alla fine ha acconsentito a suonare un brano con noi. Gli abbiamo mandato un CD con la canzone in questione e senza liriche e lui ci disse che non sapeva che fare, così Ross gli ha detto che avevo il testo pronto ed Iggy ha risposto ‘Bene! Non mi piace pensare’. Non si fece sentire per parecchio e già pensavamo al peggio ma alla fine venne in studio e fu perfetto.” Il brano che ne scaturì è la micidiale Rolodex Propaganda e il leader degli Stooges è perfettamente a suo agio sui binari elettrici degli ATDI. Sbava, cagneggia, fa rombare le R, impazzisce, smatta. Tutto il repertorio.

Se mancasse qualcosa all’appello per definire questo album come uno dei più devastanti di tutta la prima metà degli anni Zero c’è anche il fatto che Mike D dei Beastie Boys se ne innamorò al punto di non solo distribuire l’album in Europa tramite la sua etichetta Grand Royal, bensì di divenirne manager. E se come manager hai uno dei Beastie Boys…

Purtroppo l’idillio durò poco, a differenza del silenzio radio spezzato solo lo scorso anno. Un male? Un bene? Non è davvero possibile dirlo. Il rischio che un album di questa caratura potesse essere l punto massimo per dei ragazzi così giovani ed inizio di una emblematica rovina artistica era davvero alto e i Nostri non lo corsero affatto. Ognuno per la sua strada a correre dietro all’auto che più preferiva, lasciando un vuoto incolmabile su tutta la scena screamo di vent’anni fa. Certo, con ottime promesse – per lo più non mantenute – e dischettini ragguardevoli ma. Ma e basta, perché “Relationship Of Command” è il verbo della nostra generazione che non sapeva dove stare e che, in fin dei conti, non voleva stare da nessuna parte.

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