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Low – Double Negative

2018 - Sub Pop
noise / slowcore / elettronica

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Tracklist

1. Quorum
2. Dancing And Blood
3. Fly
4. Tempest
5. Always Up
6. Always Trying To Work It Out
7. The Son, the Sun
8. Dancing And Fire
9. Poor Sucker
10. Rome (Always In The Dark)
11. Disarray


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Qualche sera fa io ed una mia amica ci siamo ritrovati a parlare di come i Low siano stati in grado, in una cosa come undici dischi, di evolvere l’idea di slowcore senza snaturarla mai, muovendosi dando l’impressione di restare immobili. Negli ultimi anni lo hanno fatto con il coraggio dell’Americana al fianco di Jeff Tweedy su “The Invisible Way”, col dream pop a tinte post rock dello splendido “Ones And Sixes” e oggi, a tre anni da quest’ultimo, lo fanno ancora con il nuovo “Double Negative”.

Come sia possibile credo lo sappiano solo Mimi Parker ed Alan Sparhawk, forse nemmeno il bassista Steve Garrington è in possesso di tale conoscenza. Non è questione di tecnica o consapevolezza bensì di una sorta di rituale elettrico che dispiega le ali in un cielo di piombo con il benestare di déi sconosciuti. Così ci ritroviamo nel 2018 stringendo in mano un disco di rara bellezza e difficoltà. Come una distesa di cristalli che rilucono alla luce di lune aliene su pianeti sconosciuti, lo slowcore diventa ancora una volta qualcos’altro. In ogni album del duo (trio) c’è sempre un elemento che lo contraddistingue dal precedente e lo rende inimitabile ed inconfondibile, in un’inarrestabile evoluzione di suoni. Sulla dodicesima fatica in studio dei Low questo fantomatico elemento è la distorsione figlia del noise più sporco e brutale, messa al servizio del gradiente melodico di invitta gentilezza di Alan e Mimi, leitmotive di ogni singola prova sulla lunga distanza. Perché ad oggi forse solo i Mogwai sono in grado di pareggiare la bravura dei due sposi in fatto di melodie.

Il “clippare” e distorcere del suono fino a piegare condotto uditivo e stomaco di brani come Tempest e Quorum è lontano anni luce dalla pulizia – seppur lo-fi – slowcore che ha fatto la fortuna dei Codeine ma riesce a nascondere nelle onde quadre macellate lo spettro melodioso di spiriti della Terra e dell’Aria in un’orgia di beatitudine.  Always Trying To Work It Out è una perla soul che si accende ad intermittenza su frequenze distruttive che come onde vanno e vengono fino a divenire uno tsunami alienante vicino al Tim Hecker più spinoso, sintomo che ritorna sull’etereo terrore di The Son, The Sun. Poor Sucker è la cima di una montagna emozionale, un gospel amorfo che fa scempio dell’anima in cori di un’altra galassia mentre l’assalto frontale dell’immensa Rome (Always In The Dark) accende il motore di un’astronave da battaglia.

Non mancano i momenti in cui la materia si fa “classica” e così prendono forma le morbide forme del sognante minimalimo di Fly, dei tocchi di chitarra assuefacenti e “roots” di Dancing And Fire (e quel “it’s not the end, it’s just the end of hope” cantato da Sparhawk è una stilettata al cuore) e le tessiture in filamenti lacrimologici di Always Up si innestano a fondo nell’epidermide provocando brividi e spasmi d’amore, con le voci ad intrecciarsi e trasformarsi di continuo, rompendosi e ricomponendo la propria forma di continuo per poi perdersi nel nulla.

“C’era una volta lo slowcore”, così iniziavo 5 anni or sono la recensione di “The Invisible Way”, e con questa stessa frase concluderò questa. C’era una volta lo slowcore, poi i Low hanno approntato una splendida pira funebre appiccando un fuoco grigio che si è innalzato arrivando a toccare il cosmo. Da qui è nato “Double Negative”. Da qui nasceranno i dischi a venire.

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