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Bosse-de-Nage – Further Still

2018 - The Flenser
black metal / screamo / post core

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Tracklist

1. The Trench
2. Down Here
3. Crux
4. Listless
5. Dolorous Interlude
6. My Shroud
7. Sword Swallower
8. Vestiges
9. A Faraway Place


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I Bosse-de-Nage non saranno famosi e blasonati come gli amici/colleghi Deafheaven – ma d’altronde nemmeno tanto coraggiosi – cionondiméno restano una di quelle realtà che dovrebbero destare più di un interessa in questa nuova, moderna ondata black metal che sta sferzando gli stereo di tanti appassionati e non– perché ricordiamo che i puristi da quest’orecchio non ci sentono.

Il quartetto di Bay City (San Francisco, su) continua la sua strada sulla falsariga di quanto espresso su “All Fours” (2015) con la sottile differenza di un minimalismo black d’antan. Non solo: l’estremizzazione della componente più screamo, in termini puramente strumentali, è qui accentuata oltre ogni più rosea aspettativa. Le diramazioni progressive e le mostruose inquietudini post del precedente album vengono qui asciugate in favore di una propulsione terrificantemente in your face spedendo l’ascoltatore dritto dritto in un girone dantesco di sfuriate che di cosmico han poco e niente. Il suffisso -gaze viene dunque a diluirsi senza perdersi del tutto poiché le textures di chitarra costituiscono sempre la colonna portante del sound della band. Detto niente.

Eppure è nella violenza che si dispiega il Verbo di “Further Still”, nella sua più intrinseca perversione in un disumano concatenarsi di un continuum elettrico fatto di deragliamenti in blast beat e obnubilanti colpi di chitarre e bassi a canne mozze. Ma se si parla di screamo gli incipit ritmici di brani come Crux e Listless scoprono le carte in tavola spingendo il sound su terreni affilati e strabordanti hardcore. Se vi sembrerà di sentire riverberi dei Botch nelle grida animalesche e disperate di B. (Bryan Manning) o nelle colate a sei corde inanellate nell’immensa My Shroud (e qui di -gaze ce n’è a bizzeffe nelle aperture melodiche) o nella furia black metal di Down Here o The Trench non sarete così distanti dalla realtà. Amenità post-hardcore su figure ritmiche in tempi obliqui si dibattono sotto lo strato blast di Sword Swallower, come un crocevia tra Mihai Edrisch e Celeste. E se persino gli archi e i synth striscianti di Dolorous Interlude riescono a risultare interessanti significa che la materia è più che deliziosa.

Ammesso e non concesso che questa via sulla mappa del black metal sia stata già ampiamente esplorata da queste parti si fa ancora del proprio meglio per tirarne fuori sfumature emotive in mezzo a tifoni di distorsioni ed urla, tra sospensioni ed attese, assalti frontali e coralità marcescenti. Il risultato non è in apertura verso l’esterno, bensì introspezione dell’abisso. In parole povere: una vera manata sui denti.

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