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“Calculating Infinity”: valvole roventi e una pioggia di schegge di metallo

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Un fine estate di diciannove anni fa, tornato a casa, mi apprestavo a inserire nel mio stereo l’immancabile cd di promo in regalo con la rivista Psycho!.

Napster nacque proprio nel ’99 e in quel periodo l’unico modo per scoprire nuove band era investire soldi nella miriade di giornali musicali e sperare che il recensore di turno non avesse preso un abbaglio. Grazie a riviste come la sopraccitata Psycho! avevi pure il lusso di ascoltare le uscite più interessanti del mese, il tutto al costo di un mese di Spotify, alla faccia di quelli che “eh, io col cavolo che pago per ascoltare musica”. Tra le canzoni del cd di quel mese c’era Sugar Coated Sour di un gruppo che non avevo mai sentito prima.

Ora, immaginate la reazione di un ragazzino metallaro, abituato ad ascoltare death-metal, black-metal, durante l’ascolto di un brano simile. Non ci capii nulla, come è giusto che fosse. Eppure quell’attacco epilettico, apparentemente senza un filo logico, la follia delle chitarre e delle loro strutture quasi free-form mi ossessionarono a tal punto che mi fiondai a comprare “Calculating Infinity” e, per i mesi a venire, cercai disperatamente di scoprire altri gruppi che suonassero simili. Fallendo, come successe dopo l’ascolto di “Chaosphere” dei Meshuggah giusto un anno prima.

Questo perché col tempo e l’esperienza capisci che la grandezza e l’importanza di una band è inversamente proporzionale alla possibilità di trovare qualcuno che suoni anche solo lontanamente simile. I Dillinger Escape Plan non solo hanno avuto l’idea folle di prendere un disco come “The Shape Of Jazz To Come” e suonarlo con la furia il nichilismo e il tiro hardcore, ma anche la bravura di mettere il tutto nero su bianco con una facilità e una confidenza nei propri mezzi, scioccante. Questo nonostante tutte le difficoltà in studio, i limiti tecnologici, e quelli economici (pare che dovettero cedere parte dei loro diritti d’autore alla Relapse per poter finire di finanziarsi le registrazioni del disco).

Calculting Infinity” non è un lavoro facile: parliamo di trentasette minuti e ventisette secondi di continui cambi di tempo, soluzioni ritmiche e chitarristiche totalmente astratte e un assalto vocale senza mezzi termini. Il vero miracolo in questo vortice quasi dadaista è però la capacità di mantenere sempre alto il coinvolgimento dell’ascoltatore senza mai cadere nello stucchevole, nella noia o, peggio ancora, nel fine a se stesso. Un brano distruttivo e intenso come 43% Burnt”che diventa quasi una vera e propria hit ne è la dimostrazione più chiara.

Anche la produzione cristallina di Steve Evetts fa la sua parte nel mescolare la pesantezza di macigni come Jim Fear, Clip The Apex…Accept Instructions e Destro’s Secret con eleganza della title track, passando per la sperimentazione drum & bass jazzistica e spettrale di Weekend Sex Change.

Come spesso è successo nella musica, un lavoro così angolare rappresenterà la fine della prima fase dei DEP, e concluderà il periodo di attività della prima formazione, quella con il meraviglioso Dimitri Minakakis alla voce e Adam Doll al basso, quest’ultimo vittima di uno sfortunato incidente stradale che lo obbligherà tristemente su una sedia a rotelle.

Dopo la importantissima (in termini di evoluzione del sound) collaborazione con Mike Patton, e grazie all’entrata in formazione di Greg Puciato la band si reinventerà e la loro carriera prenderà il volo sull’onda del successo di “Miss Machine, riuscendo a coniugare tutto ciò fatto fino ad allora con l’eclettismo rock dei Faith No More.

Ma questa è, di fatto, un’altra storia.

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