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Marissa Nadler – For My Crimes

2018 - Sacred Bones Records / Bella Union
folk / americana / dream pop

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Tracklist

1. For My Crimes
2. I Can’t Listen To Gene Clark Anymore
3. Are You Really Going To Move To The South?
4. Lover Release Me
5. Blue Vapor
6. Interlocking
7. All Out Of Catastrophes
8. Dream Dream Big In The Sky
9. You’re Only Harmless When You Sleep
10. Flame Thrower
11. Said Goodbye To That Car


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Quando ormai due anni fa mi trovai a fotografare Marissa Nadler mi sentii leggero. Nel buio imposto dalla cantautrice statunitense la sua diafana figura si ritagliava spazi di soave luminescenza nelle tenebre e, stretta nel mirino della mia reflex, sembrava incarnare presenza ed assenza allo stesso tempo, come se dovesse volare via in un soffio.

Eravamo in pochi, sotto al palco, e questo mi rattrista più che in altri casi. Che qui in Italia la bravura di Marissa non sia stata ancora riconosciuta non mi stupisce più di tanto. Più che altro mi infastidisce. Perché la classe dell’artista residente a Boston non può passare inosservata, lo trovo un crimine non da poco.

For My Crimes” è il pianto apologetico ed etereo di chi i crimini si sente di doverli pagare a capo chino tra le mura di una chiesa interdimensionale, in ginocchio rivolta verso un altare adagiato tra polvere e morte latente, pur in un turbine di volontà vitale. Il viaggio di Marissa nel lento letto del fiume di un folk offuscato dalle nebbie della propria terra è in divenire ma sembra non muoversi mai. È come un fiore che dischiude i petali ad una lentezza estenuante, perché di fretta di rinascere nottetempo non ve n’è. E allora la voce corre come elettricità di velluto su corde sfrigolanti e il fragore della pacatezza si riverbera in arpeggi che si rifrangono come portali affacciati su dimensioni spazzate da una brezza gelida.

Gli scambi lirici e l’elettrico incedere di Interlocking con Marissa che sprofonda e riemerge in tonalità soprane, i rafforzi di Sharon Van Etten nel country da sogno di Lover Release Me – sommesso canto-preghiera di amor dolente – e nella polverosa classy ballad I Can’t Listen To Gene Clarke Anymore sono l’aiuto di cui si sentiva il bisogno, come lo splendido fantasma vocale di Angel Olsen ad irrobustire la resilienza della title track. Blue Vapor ha la durezza del diamante e gli archi sferzano una piana ricoperta di rugiada gelida e altrettanto dura è la melodia vocale di All Out Of Catastrophe che col suo folk noir si espande fino a disciogliersi in un mare riverberato. L’atmosfera si fa ancor più rarefatta quando alle soglie del dream pop fa la sua comparsa il deliquio di Dream Dream Big In The Sky, come un’immaginifica deriva senza fine.

Maturità e silenzi nello spazio di un disco, in un’evoluzione in stasi continua e inarrestabile.

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