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Current 93 – The Light Is Leaving Us All

2018 - The Spheres
Current 93

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Tracklist

1. The Birds Are Sweetly Sining
2. The Policeman Is Dead
3. Bright Dead Star
4. 30 Red Houses
5. A Thousand Witches
6. Your Future Cartoon
7. The Postman Is Singing
8. The Bench And The Fetch
9. The Kettle's On
10. Fair Weather
11. The Milkmaid Sings


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È un mondo alieno e magico quello di David Tibet, un universo che continua ad espandere le sue propaggini d’infinito in un loop mutevole, in singole schegge che diventano storie che iniziano dove finiscono pur tendenti all’eternità. Non c’è un altro modo per descrivere quanto fatto finora dall’incarnazione dell’uomo Tibet nella creatura di luce (e vieppiù oscurità) Current 93 e forse nemmeno questo è sufficiente a definire l’immensa discografia e la varietà del racconto che si dipana in un numero di dischi che basterebbero per un’intera vita. Non sempre a livelli altissimi ma sempre reale, palpabile nell’intrinseco essere etereo, magico e pagano, prima infernale ora paradisiaco il corpus tibetiano non si è mai ripetuto a lungo e così accade anche oggi, a.D. 2018.

Vergo queste righe mentre i C93 spiegano le proprie ali davanti al pubblico londinese, la sera del 13 ottobre, assieme agli immancabili Nurse With Wound, presentando al pubblico il nuovo “The Light Is Leaving Us All”. Io non sono là e mi sento distante un paio di galassie da questo momento in cui la crisalide si dischiude e i presenti probabilmente ascendono ad un altro piano della conoscenza, musicale e spirituale in un’unica soluzione di continuità. Io intanto metto su il disco e mi preparo ad un viaggio in differita. Ciò che accomuna tutte le recenti uscite di Tibet è il suo declamar caveiano e ciò che lo circonda è mero sfondo, e se altrove è toccante microtonale operetta simil-songwriting “rock”, qui l’evoluzione riprende i passi e al contempo le distanze di ZU93 e li asciuga del lirismo di “Mirror Emperor”, un disco estremo per gente estrema, un disco angosciante e opprimente. Qui lo spazio invece è utilizzato in tutt’altro modo, quasi all’opposto.

La voce è sempre quella di un wizard ottocentesco che ritrova la bellezza delle gesta magiche di chi venne prima (e forse verrà in un futuro distante in un’altra dimensione) e declama, descrive ciò che osserva e finanche ciò che mai vedrà, in un puro afflato di immaginazione senza confini e lo fa in un bosco freddo illuminato da un sole bianco e freddo, di quelli che si vedono solo in Terra d’Albione nei giorni più gelidi dell’anno e a sottolinearlo c’è un sempiterno field recording della fauna di un luogo ameno.

I brani evolvono partendo dal silenzio di The Birds Are Sweetly Singing e pian piano aggiungono elementi al quadro, come un pittore che di volta in volta aggiunge un particolare accurato. Una chitarra acustica e pizzicata come vorrebbe il Gira più acustico (The Policeman Is Dead), una elettrica e pungente ma carezzevole (Bright Dead Star), tubi e metallo sfiorati in contrappunto ad un pianoforte gentile in ricordo di lontani sabba perduti nella memoria ma mai dimenticati (A Thousand Witches) che si riversano in una delicatezza post-rock dal retrogusto pagano, shoegaze e ben presto agghiacciante gomitolo di strumenti che sbraitano, chitarre che sfregiano, sassofoni infernali e archi acuminati ritualmente approntati per il terrore e la tempesta (Your Future Cartoon, The Postman Is Singing, The Kettle’s On) e infine strappano il cuore dal petto e le lacrime dagli occhi come stelle morenti con una voce legata col filo del destino ad un vellutato hammond e una chitarra di ghiaccio (The Bench And The Fetch) a dimostrazione che siamo vivi, purtroppo.

Le apocalissi disegnate da Tibet negli anni di Thelema, delle copertine incise, delle foto orrorifiche, dall’alchimia folk e nera, del rumore che atterrisce si tramutano qui in un nuovo mondo avvolgente, fatto di chiaroscuri diurni e notturne ampie luci, gnostico naturalismo di Genesi che seziona la tragedia umana trascendendola in pieno. Come una ferita e la sua cura, il sale nella piaga e il tocco di un Santo un altro tassello si aggiunge all’immenso mosaico che prende forma senza definirsi mai, là, in quel tempio dimenticato dagli dèi.

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