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Dead Can Dance – Dyonisus

2018 - [Pias] Recordings
world music

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Tracklist

ACT I
1. Sea Borne
2. Liberator of Minds
3. Dance of the Bacchantes
ACT II
1. The Mountain
2. The Invocation
3. The Forest
4. Psychopomp


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Di culti (e annesso cultismo) sono esperti i Dead Can Dance. Dalle maschere rituali zulu  al medioevo sotto soli morenti, dal Hieronymous Bosch e le sue visione d’orrore futuribile al decadentismo i suoi fiori del male il duo australiano vive la sua seconda vita sempre più in parallelo, tra antropologia e radici musicali care ai pionieri Tibet e Douglas ma con un piglio decisamente più archeo-storiografico, e una capacità compositiva ed espressiva che in ben pochi avevano negli anni ’80, ma anche oggi che la ragione sociale torna a farsi forte di influenze mitologiche greche dopo il precedente “Anastasis”, arrivato dopo essersi liberati dal ghiaccio e dalle tenebre.

Dyonisus” è esattamente ciò che ci si aspetta da due professori di miti e leggende, di culture presenti e passate, di rituali ormai defunti e pronti per essere riportati in vita e mischiati con il retaggio di popolazioni distanti tra loro mezzo mondo, tra terraferma ed Oceano. Dal dio del vino dell’Antica Grecia fino agli Huicol della Sierra Madre, le cui vestigia campeggiano in copertina, Lisa Gerrard e Brendan Perry si prendono il loro tempo per costruire due atti di una storia che risale all’alba della civiltà intesa per gli anni a venire, un piede nel prima e uno nel dopo per un futuro in eterno ritorno. I vuoti di memoria lasciano così spazio ad un pieno sincronismo mnemonico collettivo e la vera anastasi viene ora formandosi in plenum riportando alla luce gli antichi fasti dei due compositori.

Nel bagaglio lo strapotere delle colonne sonore (in primis l’incredibile collaborazione con Hans Zimmer) e ciò che ne derivò come l’inclusione nella soundtrack dell’indimenticabile “Baraka” di Ron Fricke ha permesso al gruppo di aggiungere sempre più voci al proprio vocabolario e raggiungere la completezza. I due atti di “Dyonisus” sono un viaggio di formazione superna che ricombina il concetto di world music sin dalle fondamenta, tracciando ponti tra Grecia, balcani e Marocco in un’unica soluzione di continuità, senza scollamenti né confusione. Dalle aggressioni esagitate del folklore dell’Est Europa, in movimenti convulsi e furia dettata dalle sostanze alteranti (Dance Of The Bacchantes), marcette che nell’oriente più estremo trovano il loro spazio di crescita (The Forest), voci del mistero bulgaro (o meglio Le Mystère des Voix Bulgares che Lisa si porta dietro sui contrappunti della “drogata” Liberator Of Minds e sulla summonica The Invocation) che si mischiano ad un occidente trasfigurato fino a tripudi field recording al limite tra droni ipnagogici e tribalismi occulti (Psychopomp, The Mountain). Croce e delizia l’alternarsi della vocalità fisica di Perry che si contrappone all’eterea presenza della Gerrard formano un iter che di canonico ha tutto e niente.

L’affresco stinge in fretta per poi ricomporre le tonalità pulsanti di un multiculturalismo di cui oggi si sente sempre più il bisogno, in totale e fervente distruzione di confini già da tempo abbattuti ma che ora qualcuno sta pensando bene di ricostruire. Insegnare attraverso la musica la poliedricità della natura umana incanalando storia e finzione è qualcosa che non a tutti riesce in maniera così semplice. I morti possono ancora ballare assieme ai vivi, in comunione e contiguità.

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