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Cripple Bastards – La Fine Cresce Da Dentro

2018 - Relapse Records
grindcore / hardcore

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Tracklist

1. Suicidio assistito
2. Non coinvolto
3. La memoria del dolore
4. Passi nel vuoto
5. Ombra nell’ombra
6. Due metà in un errore
7. Chiusura forzata
8. Dove entra il coltello
9. Crimine contro l’immagine
10. Narcolessia emotiva
11. Nervi in guerra
12. Sguardo neutro
13. Interrato vivo
14. Equilibrio ansiogeno
15. Quali sentieri
16. Decessi per cause sconosciute
17. Recidive
18. Crociati del mare interno


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Tre decenni belli intensi di odio, nichilismo e misantropia compressi in neanche mezz’ora di grindcore intransigente e brutale. Questo è “La fine cresce da dentro”, settimo album a firma Cripple Bastards. Con un’immagine di copertina simile a quelle che campeggiano sui pacchetti di sigarette, la band di Asti ci trasmette un messaggio chiaro come il sole. Difficile dare interpretazioni differenti: se siete deboli di cuore o facilmente impressionabili, astenetevi dall’ascoltare questo disco. Il rischio è quello di seguire le orme dello sciagurato senza polso immortalato in fotografia.

Se invece siete costantemente incazzati come bisce – e ognuno di noi, in fin dei conti, ha qualche buon motivo per esserlo al giorno d’oggi – e cercate una valvola di sfogo in grado di calmare i vostri bollenti spiriti, qui troverete diciotto autentici toccasana. Perché l’odio, per il coriaceo Giulio the Bastard e i suoi altrettanto spietati sodali (Der Kommissar alla chitarra, Schintu the Wretched al basso e il nuovo entrato Raphael Saini alla batteria), non è mai stato un sentimento fine a sé stesso, bensì un urlo liberatorio in faccia alle ipocrisie e alle schifezze che dominano dentro di noi e nella società moderna.

La domanda, tuttavia, sorge spontanea: c’è ancora spazio per i Cripple Bastards in un mondo in cui rabbia, frustrazione, intolleranza e paura non solo sono state sdoganate, ma hanno addirittura preso il controllo di praticamente ogni aspetto delle nostre esistenze? La risposta è presto detta: assolutamente sì. A separare l’odio seminato via social da “capitani” di dubbia moralità e il veleno sputato fuori dalle fauci di Giulio the Bastard c’è un oceano: il primo è fasullo e fastidioso, mortificante nella sua bassezza e disumanità; il secondo è genuino, spietato e annichilente.

Tre qualità che in “La fine cresce da dentro” ritroviamo sia nella musica, che segue il solco ibrido e maturo aperto quattro anni fa da “Nero in metastasi”, sia nei testi, che in più di qualche occasione sembrano proprio rivolgersi alle nuove classi dirigenti cresciute a mi piace su Facebook e perenne ricerca di facili consensi. Un esempio? Nei “napalmdeathiani” (scusate l’orrendo neologismo) cinque secondi di Interrato vivo, Giulio the Bastard sbraita nelle orecchie dell’ascoltatore un’unica, tristissima realtà: Schiavo della condivisione.

I suoi versi sono come brevi haiku giapponesi intrisi di pessimismo e mal di vivere: impossibile non farsi prendere dallo sconforto quando, nell’assalto hardcore di Narcolessia emotiva, ci presenta in questa maniera il “fantastico” mondo dei social network: È un rituale sofferto/Frasi incollate dal vissuto altrui/Quel che hai scelto di esporre al mondo/Per celebrare ciò che non sarai mai. Per non parlare della desolazione di un paese in crisi che emerge nell’attacco della furiosissima La Memoria Del Dolore: Da un quartiere abbandonato/Intersezione di vie sconnesse, freddo innaturale/Tra attività fallite e passanti casuali che si evitano/Quale senso di appartenenza/Non bastano ricordi di tempi migliori per sentirsi padroni.

Le parole sono da sempre uno dei punti di forza della ricetta della band piemontese, anche se quasi mai vengono pronunciate intelligibilmente: armatevi di un libretto con i testi per decifrare le urla e le grida di un ancora potentissimo Giulio the Bastard, che in alcuni degli episodi più crossover e strutturati del lavoro (Non coinvolto, Dove entra il coltello, Decessi per cause sconosciute e la splendida Crociati del mare interno) prova a venirci incontro regalandoci qualche bella parentesi in spoken word.

Voglio chiudere con una tirata un po’ moralista, una provocazione da vecchio nonno rompipalle che mal digerisce il cosiddetto fenomeno itpop: se ci fosse qualche tipo di giustizia musicale in Italia, alla radio ascolteremmo i Cripple Bastards e non Calcutta o Thegiornalisti. “La fine cresce da dentro” è la colonna sonora ideale per questo deprimente 2018 arrivato agli sgoccioli. Una boccata d’ossigeno per chi sente di essere “nato in un paese in cui non ha mai messo piede”.

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