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Anguish – Anguish

2018 - RareNoise Records
experimental hip hop / kraut / jazz

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Tracklist

1. Vibrations
2. Cyclical/Physical
3. Anguish
4. Gut Feeling
5. Brushes For Leah
6. Healer’s Lament
7. DEW
8. A Maze Of Decay
9. Wümme


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In un momento in cui la musica stagna e in cui l’hip hop tende ad annegare in acque chete a cui non è abituato arriva Anguish. In silenzio, senza troppi squilli di tromba, perché a scuotere le fondamenta ci pensano i fatti. Fatti concreti, musica concreta, concrete blocks di dolore e immobili sensazioni in movimento e rigenerazione dei tessuti connettivi di una società che vede il proprio futuro sfumare e stingere nella luce serotina di un tramonto sanguinolento.

Anguish, nello specifico, è un mostro a tante teste, teste pe(n)santi e pericolose, come si conviene alla musica che conta: Will Brooks e Mike Mare direttamente dal pianeta Dälek, dal fuoco del Monte Fato della sperimentazione i Fire! Mats Gustafsson e Andreas Werliin e infine il padre di Faust Hans Joachin Irmler. Progetti che nascono da incontri e da sintomi condivisi e che danno adito a cose nuove e necessarie, perché questa è la verità: c’è bisogno di respiri più ampi, per svegliare generi sopiti sotto coltri di nulla. Un crocevia disegnato da un intelletto superiore che si ricongiunge nel momento giusto.

Il concilio mesce in una forgia di metallo scurito dal furore i liquori di un album profondo, liquido all’occorrenza e resiliente nelle giunture, che divelge mura e bastioni di fortezze impenetrabili, quelle del nulla e del silenzio. Gli strumenti sono allineati nel loro essere squisitamente fuori fase, come se non dovessero mai incontrarsi per poi farlo in snodi unici, snodi in cui i pastiche cosmici che gli alchimisti Mare e Irmler approntano come sostrato di una corazzata elettrico-acustica, fatta di sprezzanti resistenze al sassofono/incudineemartello, che ora aggredisce con ferale virulenza (Vibrations), ora culla e riporta il jazz al timone di una nave battezzata in ricordo di Guru (l’astronave letteraria Healer’s Lament, Anguish), il rhymin’ di Brooks, di norma compassato, qui si fa assalto controllato, come un berserker lucido e armato di carta, penna e libri che si dipinge da sé su clangori noise illbient (la delirante A Maze And Decay) o a testa d’ariete, buttante giù le difese di cui sopra (Cyclical Physical) al fianco di in uno srotolamento sonico settantiano con la batteria a menar fendenti dritti come spade immacolate (Wümme).

Invulnerabile come un guerriero santificato dal sapere e dalla conoscenza in uno stream univoco di un universo espanso tra i circuiti di un sistema non troppo operativo, “Anguish” è il rumore che serviva davvero. Basterà a salvarci? Per ora accontentiamoci del senso di perdita e ritrovamento all in one, al resto penseremo poi.

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