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John Garcia – John Garcia And The Band Of Gold

2019 - Napalm Records
stoner rock

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Tracklist

1. Space Vato
2. Jim's Whiskers
3. Chicken Delight
4. Kentucky II
5. My Everything
6. Lilliana
7. Popcorn (Hit When You Can)
8. Apache Junction
9. Don't Even Think About It
10. Cheyletiella
11. Softer Side


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John Garcia, aka il campione mondiale di Un Due Tre Stella. Tu stai girato ad occhi chiusi, aspetti un sacco e, una volta ogni tanto ti giri e lo ritrovi là, fermo. Immobile. Dopo un po’ ti prendi la briga di staccarti dal muro per andare a dargli una scrollatina, giusto per sincerarti che vada tutto bene, quantomeno che respiri. E sì, respira, lentamente, un respiro che pare vecchio di almeno vent’anni. Johnny boy, perché non ti sgranchisci un po’ le gambe, eh? Niente da fare, lui è stoico (o un cinico, dato che non ha bisogno di null’altro che sé stesso, che per un musicista è proprio una cazzata), sta lì, tiene la posizione.

La faccenda va avanti dai tempi della fine dei Kyuss, solo che i Kyuss non ci sono più, perché Josh Homme ha deciso di sgranchirsi le gambe così tanto che ora suona su palchi pazzeschi (solo che non fa più dischi pazzeschi, ma questa è un’altra storia), mentre John è rimasto fedele alla sua immagine di verace uomo del deserto – e i restanti ex membri della band più o meno hanno seguito l’insegnamento del Maestro. Bello, bellissimo, ed è pure bravo, oh se è bravo. La sua voce è inconfondibile, e pure a quasi 50 anni suonati è ancora piena, forte, intensa. Peccato che lui sia fermo là in fondo alla stanza. Slo Burn, Hermano, Unida, Vista Chino, solisti, roba acustica, e ora ‘sta faccenda della Band Of Gold, un sacco di nomi per fare sempre la solita cosa. Stoner rock, desert rock, chiamatelo un po’ come vi pare, la sostanza non cambia e il problema è esattamente questo.

Il disco omonimo di questa nuova ragione sociale è pure prodotto da Chris Goss, e da chi sennò, verrebbe da chiedersi. Nemmeno i suoni sono cambiati, buon Dio, nemmeno quelli, che uno ti dice che magari potresti tentarlo un approccio diverso, ma tu no, cocciuto. E va bene, John, fai quel che ti pare. C’è da dire che questa terza fatica “solista” del Nostro desertman non è indegna come “Peace” dei Vista Chino o triste come il disco col titolo lunghissimo sui coyote – lasciando fuori il primo un po’ perché faceva simpatia un po’ perché devo giustificarne l’acquisto – però non si esce dal tunnel del già sentito tanto da farlo suonare vecchio già al primo ascolto, ma poteva andare anche peggio. Sostanzialmente il problema risiede nel fatto che del gradiente rock non c’è nemmeno più l’aggressività, la roboante voglia di passare sopra al pubblico con una macchina con questi suoni mosci e sostanzialmente scarichi, stanchi un po’ come chi si è stufato di questa manfrina infinita.

Garcia gorgheggia e lancia le sue note lunghe e calde (tipo che sul ritornello super power pop di Lilliana funzionano alla grandissima o quando strilla malissimo sull’unica salvabile per intero Popcorn (Hit Me When You Can)) su chitarre che qualche volta sono prese in prestito da Danko Jones (Jim’s Whiskers) che già le prese in prestito da cento altri (Kentucky II è una “cover” di Hendrix?), altrove tentano l’approccio a lidi “doom” (la strumentale Space Vato non è male perché somiglia ad almeno 5 brani dei Kyuss), di quando in quando tentano la strada della psichedelia spiccia di chi ancora sta lì a sollazzarsi con Castaneda (e chi l’avrebbe mai detto?) ma di fatto rimangono le stesse identiche chitarre usate con Unida, Hermano ecc. ecc. ecc. e a me viene un gran sonno, di quelli brutti che poi ti svegli e sei più stanco di quando ti eri addormentato e ti ritrovi lì John, ancora inebetito a guardare le distese di sabbia e roccia che ha stampate dietro agli occhi e tu, esasperato, lo cacci di casa.

La verità è che, come dicevo prima, non lo butteresti proprio nel cesso un disco come questo ma – e quando c’è un ma è sempre male – è né più né meno che un insipido compitino confezionato ad arte per i nostalgici delle rocambolesche sozzure di Palm Desert e in tutta onestà pare un po’ poco per uno tosto come el señor Garcia. Sul deserto è scesa da un bel po’ la notte, e l’unico a non essersene accorto è proprio lui (e vien quasi da augurarsi che questo sia seriamente il suo ultimo album).

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