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Urali – Ghostology

2019 - To Lose La Track / Malestro / General Soreness / Fatty Liver Records
songwriting / post metal / drone / folk

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Tracklist

1. A Ghost Anthology
2. Memorizu
3. Arborescence
4. One Day, A Thousand Autumns
5. Grave Of The Stars
6. Dwellers
7. The History Of Mankind On The Palm Of My Hand
8. Finale


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Trovare tepore nel gelo, luce tra le nebbie, lenire le ferite procurandosene ulteriori, chiudere gli occhi immaginando di apparire altrove, sono tutte esperienze da non dare per scontate quando ci si muove nell’ormai morente labirinto della musica altra del nostro Paese. Quando accade si celebra un rito di ringraziamento al fautore di tutto ciò, che avviene nel giro di poche tracce, nel marasma del niente e senza nemmeno sgomitare.

Rendiamo dunque grazie ad Urali – al secolo Ivan Tonelli – che battezza l’inizio di questo 2019 nella beatitudine di ognuna delle voci di cui sopra. Se ormai in molti si piegano ai gusti sempre più conformisti di un pubblico appiattito su sonorità scontate e di poco conto, Ivan seguita su un sentiero niente affatto semplice, soprattutto se si tratta di tradurre un così alto sentimento in musica dal sapore antico ed atipico. Di questa materia flebile è composto “Ghostology”, malleabile sinedrio di spettri che si agitano tra le lande ormai desolate dell’animo umano e macchine immobili che riprendono a singhiozzare in simultanea, raggiante consapevolezza.

Non più solo droni che s’inarcano e dibattono sottopelle ma un vero e proprio contingente strumentale ampiamente strutturato e ricolmo di soluzioni vieppiù anomale nell’architettura di un songwriting che fa della rarefazione e della delicata contrapposizione voce/strumento un punto di forza se non proprio un nuovo marchio di fabbrica in divenire, che cresce e si contorce in poco più di 8 pezzi. Se è lecito immaginare un tocco di soluzioni a là Alexander Tucker – e di tutta una serie di richiami al folk, neo e non, d’Albione – su delizie sussurrate come Finale, incuneata nel sabba ritmico e vellutato intessuto sapientemente da Dimitri Reali e oniricamente sbattuto in cielo dal pianoforte di Enrico Giannini in un rincorrersi di tempi in evoluzione, non è altrettanto ovvio che il tutto si tramuti in una creatura dalle fattezze mostruosamente post-core/black metal della coda di Memorizu e nelle stratificazioni elettrificate di One Day, A Thousand Autumns. L’inaspettato che bussa al pesante portone borchiato della bellezza e l’idea di Jesu/Sun Kil Moon resa digeribile, reale e pregna di sensazioni altrove irrintracciabili.

Se poi aggiungiamo al tutto una forte dose di liriche di rara bellezza il gioco è fatto, tra i fantasmi consci della propria condizione di lontananza dalla realtà e di sparizione imminente della rutilante chitarrogenetica The History Of Mankind On The Palm Of My Hand (“Inner voices that I used to hear / They do not speak to me at all / What does it mean a long time ago? / I am the missing girl of this ghost story”), o gli ordini improrogabili di un dio macchina sfiancato ma non meno indebolito di Dwellers (“Your word become my flesh / But I don’t want you to touch it / The only sacred thing now is my will”).

Paura e conoscenza, gocce di rugiada su tecnologie senzienti, Grandi Antichi dimentichi della loro mole mortifera, robot che svettano su cieli di cenere e memorie docili che attanagliano l’Uomo. Niente meno di uno spiraglio su un’altra realtà come non se ne sentivano da un po’. Ancora grazie, Urali.

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