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Better Oblivion Community Center – Better Oblivion Community Center

2019 - Dead Oceans
folk / indie

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Tracklist

1. I Didn’t Know What I Was In For
2. Sleepwalkin’
3. Dylan Thomas
4. Service Road
5. Exception to the Rule
6. Chesapeake
7. My City
8. Forest Lawn
9. Big Black Heart
10. Dominoes


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Non è così scontato che la collaborazione tra due pezzi da 90 possa funzionare e gli esempi nella storia della musica sono ben frequenti: c’è sempre il rischio che una delle due figure prenda il sopravvento sull’altra, che l’amalgama non risulti efficace quando non del tutto inesistente, che il tutto suoni poi posticcio, forzato, francamente inutile. Nella fattispecie, i due campioni che prendiamo qui in esame sono Conor Oberst, mostro sacro dell’indie folk e titolare del progetto Bright Eyes (da troppo tempo in silenzio) e Phoebe Bridgers, una delle punte di diamante di quella rosa di nuove cantautrici raggruppate nella neanche tanto felice definizione di new nineties e che di recente abbiamo visto condensate nello splendido progetto Boygenius (con Julien Baker e Lucy Dacus, oltre alla stessa Bridgers).

Quanto detto sopra, per Better Oblivion Community Center, questo il nome della creatura nata dall’unione musicale dei due, fortunatamente non vale per nulla e, anzi, l’eponimo disco d’esordio – targato neanche a dirlo Dead Oceans – conferma sul campo tutte le buone premesse che gli interpreti in questione lasciavano giustamente intendere. È un disco di veri e propri duetti, e Dio solo sa quanto siano scomodi da portare a casa senza inciampi: i due non si intralciano, non si accavallano, anzi piuttosto si completano e le due timbriche – quella ruvida e segnata di Oberst e quella ingenua e limpida della Bridgers – risultano essere per lo più complementari e filano via lisce sia quando agiscono in contemporanea (per la stragrande maggioranza del tempo) che in alternanza.

Scritto in perfetta simbiosi tra i due, l’album si aggira quasi sempre su territori familiari a entrambi: se è quasi scontata la riuscita dei momenti più riflessivi, tra cui le ballate a metà tra il folk e il country di Didn’t Know What I Was For, Service Road, Chesapeake, ma anche di episodi più ritmati come il freschissimo e super-catchy Dylan Thomas o l’ondeggiante Sleepwalkin’, i nostri si prendono comunque alcuni – forse troppo pochi – rischi non trascurabili. Exception To The Rule è un interessante e riuscito esercizio di synth-pop che strizza perfino l’occhio all’indietronica, ma anche Big Black Heart o la scura e conclusiva Domino, ricche di fuzz e suoni non convenzionali, stanno lì a dimostrare che la voglia e la capacità di fare ogni tanto qualche saltino fuori dalla comfort zone è cosa buona e giusta.

Ispirato e piacevole, magari non troppo coraggioso come potrebbe, quello dei Better Oblivion Community Center è un progetto che, nel caso non dovesse rimanere un unicum, sarà sicuramente da tenere in piena considerazione. Al momento però non pensiamoci e limitiamoci a tenercelo bello stretto.

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