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Back In Time

Back In Time: U2 – Pop (1997)

U2

“Questo sarà ricordato come uno dei dischi di fine-millennio” fu la prima frase che mi uscì quando i miei amici mi regalarono il doppio lp di “Pop” per il mio ventesimo compleanno. La reazione dei miei giovani compari fu un’intimazione di smettere di dire stronzate. E invece continuai. Oggi ascolto “Pop” e ripenso a quella frase e credo di poter affermare che avevo ragione; allora mando un messaggio ad uno degli amici che 22 anni fa mi regalò il suddetto album e gli dico, appunto, che avevo ragione perché, a riascoltarlo oggi, quello che cattura l’attenzione è proprio il suo limite, ovvero la temporalità: l’essere in qualche modo datato ma non per la qualità dei pezzi che, se spogli della loro sovrastruttura elettronica, potrebbero ancora reggere, ma piuttosto quello che rende “Pop” un lavoro fermo e incastonato a fine millennio sono proprio le sonorità. Il mio amico mi risponde ancora di smetterla di dire stronzate e aggiunge che la cosa ancor peggiore è che oggi le scrivo anche.

Il fatto è che quando “Pop” uscì fu l’anno in cui l’ondata musicale si ampliò e divenne mainstream sul serio: la prima diretta di Mtv Italia coincise con la messa in onda di quattro pezzi in diretta del “Pop-Mart Tour” con tanto di micro intervista a Bono e Larry Mullen da parte di uno sbarbato e prossimo ad un crollo emozionale Enrico Silvestrin, allora Vj. E fu la fine. La fine del rock e l’inizio del pop.

U2

Pop“, la fine del millennio, “Pop“, la fine degli anni 90, tutto questo ci portò la consapevolezza che Mtv aveva preso il potere e si era allargata a livello intercontinentale, e così per apparire bastava avere un bel faccino giovane e pulito. E allora largo alle Natalie Imbruglia, Spice Girls, Take That, nonché altre innumerevoli boy band, dopodiché il rock, il rap, il reggae, l’alternative, per non parlare del punk hanno cominciato ancora una volta a dover lottare per sopravvivere. Nel disco comunque, di pop c’è ben poco, grazie alla produzione del guru del trip-hop Howie B e il suo titolo è dunque possibilmente visto come un presagio, come una previsione apocalittica della discesa in picchiata della qualità musicale internazionale. Infatti, da lì a poco, sorsero generi quali in nu-metal e altri di cui non ricordo il nome poiché più o meno irrilevanti nella storia della musica. Se pensiamo ad un solo anno più tardi, all’angolo del rock non si sarebbero sentiti altro che Limp Bizkit, Korn e altre porcherie. Ci provammo ad ascoltarli ma proprio non erano per noi.

Quindi “Pop“. Che non ha colpa. Perché “Pop” è solo un figlio di un momento agitato, come quando guardi il conta chilometri della macchina e stai per raggiungere la cifra tonda e tutto quello che sai lo porti con te e lo metti in quel momento e sei confuso ed eccitato. Dopodiché fine. Sei a zero.

Allora si parte dall’interno notte: Discothèque: Il punto di arrivo dove l’unica cosa è lasciarsi andare e ballare, ma l’atmosfera che si respira dalla seconda traccia Do You Feel Loved è notturna, è fuori dalla discoteca, nelle strade buie, in macchina per i quartieri di Los Angeles, Berlino, Miami…Last Night on Earth riprende da dove si era fermato “Achtung Baby” con il suo Until the End of the World e If God Will Send His Angels vuole essere la coda della loro esperienza come portatori sani della visione europea Wendersiana e il viaggio notturno è presente il tutto l’album, Staring at the Sun permettendo, la quale doveva essere un’altra delle ballad indimenticabili come One e invece è finita nel sottoscala. Mentre Miami è il capolavoro della visione globalizzante di video noleggi aperti 24h, cabine per fototessere, luci intermittenti, benzina, inseguimenti, una sorta di electro-noir cinematico. Ma la traccia che smentisce il limite dell’album e fortunatamente anche tutto quello che ho scritto finora è sicuramente la closing track Wake Up Dead Man: “Pop” si conclude in preghiera elettrica con la più inattuale delle canzoni. Quindi, se decidete oggi di ascoltare questo strano e complesso album per la prima volta assicuratevi di arrivare fino alla fine.

Non fraintendetemi: credo fermamente che “Pop” sia uno dei lavori più belli che gli U2 abbiano fatto. Perché ti porta in un mondo particolare ed affascinante: quello in cui lo sguardo è rivolto al futuro, lo sguardo che tutti gli artisti veri avevano in quegli anni. Quello che ti dice che niente sarà più come prima, ma la strada davanti è oscura, perturbante. Da quello sguardo arrivava l’ispirazione dell’intero “Pop” che può essere tacciato di qualunque insulsa accusa se paragonato a lavori nati in tempi differenti, ma non si può dire che non sia ispirato.

E qui arriva la solitudine dei grandi artisti e pensatori e la loro famosa, nonchè odiata, smisurata ambizione. Perché la sensazione è quella di essere arrivati in cima, la voglia è quella di stare in piedi sul sasso più alto della vetta e, anche se tutti da giù ti gridano di scendere dal piedistallo, tu stai bene lì dove sei e non hai la minima intenzione di ascoltare nessuno, perciò non ti muovi e rimani lì, da solo. E io amo gli U2 per questa ragione e li ringrazierò sempre per questo disco.

U2

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