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The Young Gods – Data Mirage Tangram

2019 - Two Gentlemen Records
industrial / avant rock

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Tracklist

1. Entre en matière
2. Tear Up The Red Sky
3. Figure sans nom
4. Moon Above
5. All My Skin Standing
6. You Gave Me A Name
7. Everythem


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Devo ringraziare Mike Patton se circa nove anni fa venni a conoscenza dell’esistenza dei The Young Gods, perché fu proprio grazie allo spulcio compulsivo del catalogo della Ipecac Recordings se scovai “Everybody Knows”, ultimo album del combo svizzero a fronte di un hiatus non ben definito durato qualche anno. Allora pensavo che la musica in Svizzera si fermasse al massimo a Celtic Frost e Samael (Jojo Mayer sarebbe arrivato più o meno in quel periodo). Quanto mi sbagliavo.

Per chi non conoscesse quest’icona della musica industriale basti sapere che prende il nome dagli Swans e che proprio Roli Mosimann ne fu patrono per la totalità degli album usciti tra gli anni ’80 ed il 2010. Oggi l’hiatus di cui sopra, già interrotto qualche anno fa, svanisce del tutto e Franz Treichler rompe gli indugi riportando in vita ed in piena attività la sua creatura. L’ex sodale di Michael Gira non fa più parte della partita ed è proprio il frontman del trio a prendere in mano le redini del sound, producendo “Data Mirage Tangram” in prima persona e lasciando il mix alle sapientissime mani di Alan Moulder (i fan di NIN e Depeche Mode ne riconosceranno immediatamente le doti) e il master a Giovanni Versari.

Se da un lato della sala di registrazione c’è aria di cambiamento, dall’altra ciò che non viene rimpiazzato è il peso immane e l’importanza di quanto Treichler assieme al figliol prodigo Cesare Pizzi (uscito dalla formazione a fine ’80) e al batterista Bernard Trontin mettono assieme in queste incredibili sette tracce. Non hanno bisogno di guardarsi indietro, i Giovani Dèi, perché nel loro DNA è già scritto indelebilmente ciò che deve essere l’arte industrial a.D. 2019. Un miscuglio sapiente e incendiario di tutti linguaggi di cui sopra, arricchiti da un suono sempre più moderno e scintillante, alieno nel suo essere umano, fantascientifico anche quando è più organico e reale.

L’affabulatore Franz declama i suoi testi ora su tormente d’n’b sferzate da labirintiche sezioni ritmiche, tra metallo, plastica e legno sbattuti con forza e mandati in loop eterni da capogiro (Moon Above), ora su mistici bleep immersi nel liquor di un cervello impiantato in un cyborg quiescente (Entre en matière) e infine su sciabolate avant rock di rara bellezza (Figure sans nom). Le chitarre gridano e stridono su lamine di acciaio inossidabile mentre piovono coltelli dal cielo che, come sempre, è rosso sangue (Tear Up The Red Sky e il suo languido trip-hoppeggiare non le fermeranno) o si fanno spazio tra percussioni provenienti da un futuristico medioriente cibertronico (gli undici minuti di All My Skin Standing sono uno dei più agghiaccianti viaggi gibsoniani in cui mi sia immerso ultimamente) e si fanno piccole piccole quando a imperversare è il sintomo di un minimalismo techno-spiritual che lecca i bordi di un tavolo sintomaticamente shoegaze, infestati da droni vocali reiterati fino alla follia (You Gave Me A Name).

Non credo ce ne fosse bisogno ma i The Young Gods tornano a riconfermarsi come necessaria presenza nella triade condivisa assieme a Swans ed Ulan Bator che mantiene in vita un movimento che è sempre più al lumicino, ma che non si arrende né all’età che avanza né alle mode che insozzano i nostri condotti uditivi. Roba da sospiro di sollievo. Roba che infesterà i vostri incubi. Roba buona che più buona non si può.

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