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Zebrahead – Brain Invaders

2019 - MFZB Records
pop punk / rap metal

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Tracklist

1. When Both Sides Suck, We’re All Winners
2. I Won’t Let You Down
3. All My Friends Are Nobodies
4. We’re Not Alright
5. You Don’t Know Anything About Me
6. Chasing The Sun
7. Party On The Dancefloor
8. Do Your Worst
9. All Die Young
10. Up In Smoke
11. Ichi, Ni, San, Shi
12. Take A Deep Breath (And Go Fuck Yourself)
13. Better Living Through Chemistry
14. Bullet On The Brain


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Ascolto “Brain Invaders”, tredicesimo album in studio degli Zebrahead, e penso: peccato che il 1999 sia finito vent’anni fa. Questi quarantaquattro minuti di pop punk schizzato e mutante avrebbero funzionato benissimo come colonna sonora di uno di quei bei teen movie di una volta, pieni zeppi di irresistibili volgarità e tette al vento. Per questi cinque baldi quarantenni californiani la festa a casa di Stifler non terminerà davvero mai.

Parte il riffone thrash di When Both Sides Suck, We’re All Winners e subito viene voglia di correre a comprare un fusto di birra da trenta litri, attaccarci un tubo di plastica e darsi alla pazza gioia insieme a Pausa Merda e allo Sherminator. Con I Won’t Let You Down e All My Friends Are Nobodies il party inizia a riscaldarsi: non c’è neanche bisogno di andare a cercare i cd di Offspring, Good Charlotte, Blink-182 e Sum 41, perché li ritrovate tutti quanti qua dentro, spezzettati e rimescolati. La caratteristica principale degli Zebrahead, in fin dei conti, è sempre stata proprio questa: recuperare le sonorità di colleghi più noti e cucirle insieme in un improbabile crossover “ska pop punk rap metal” (!) tanto delirante quanto orecchiabile.

Non sorprendetevi, quindi, se in Do Your Worst vi sembrerà di sentire qualche richiamo ai Green Day: quasi sicuramente è voluto. Lo stesso vale per la spensierata Up In Smoke, pacchianissimo pastiche reggae/hip hop nel quale entrano in collisione frammenti di Sublime e Sugar Ray. Per molti vecchi nostalgici potrebbe sembrare un sogno, ma per me, a un certo punto, è diventato un incubo a occhi aperti.

Lo sfrenato citazionismo degli Zebrahead non conosce tregua, e in men che non si dica la sana baldoria anni Novanta si trasforma in un tunnel senza uscita. Un’overdose di brani indistinguibili gli uni dagli altri, avvolti da un sentore di vecchiume che, nonostante la produzione ultramoderna, è costantemente dietro l’angolo. Complice soprattutto il flow di Ali Tabatabaee, le cui parti rappate sono talmente prevedibili e old school da far sembrare il caro Jacoby Shaddix un innovatore. “Brain Invaders” attira e respinge come un film horror; un mostro di Frankenstein (con la testa di zebra, naturalmente) formato da frattaglie di un’epoca non così lontana (e degna) per essere rimpianta.

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