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Joni Void – Mise En Abyme

2019 - Constellation Records
elettronica

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Tracklist

1. Paradox (1:11)
2. Dysfunctional Helper 
3. Lov-Ender 
4. Abusers
5. Non-Dit 
6. No Reply
7. Safe House 
8. Cinetrauma 
9. Voix Sans Issue
10. Deep Impression 
11. Persistence
12. Resolve 


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Molti di voi avranno già incontrato questo termine che spesso si accosta alla metaletteratura. Mi sto riferendo proprio alla “Mise En Abyme”. André Gide lo sdoganò, e letteralmente sta per “Messa in abisso”, come anche il termine Mise En Scene, che poi italianizzando in messinscena, ha un altro senso, ma da entrambi si parte da una visione o meglio, si ha a che fare con la rap-presentazione. Ma, appunto, mentre quest’ultima ha un senso tecnico, una specifica registica, teatrale, rappresentativa, il primo è piuttosto ad un doppio registro ed è la riproposizione, la moltiplicazioni di livelli all’interno dei livelli narrativi stessi (ad es: una stanza, dentro una stanza, dentro una stanza, ecc.), una discesa (o ascesa, anche se si utilizza il riferimento all’abisso) verso una dimensione metaletteraria che si immerge ulteriormente nella scrittura. Detto in altri termini, è un’invischiarsi nella parola/linguaggio sempre di più, sprofondando nella scrittura e, di conseguenza, allontanandosi dal reale. Una volta entrato nel sistema metalinguistico, sarà molto difficile uscirne: da qui, il tema della ricorsività, delle riflessioni sul linguaggio matematico, della cibernetica e molto altro ancora (il meta linguaggio mangia tutto, anche le discipline che ne fanno parte, come un blob che investe tutto quel che potrebbe trovare sul suo cammino).

Questo “meccanismo” ha assorbito interamente la seconda opera di Joni Void che porta appunto questo titolo. E’ interessante notare infatti che, essendo uno dei massimi esponenti della plunderphonic (l’estrapolazione di elementi audio da altri dischi già esistenti), il concept sembra proprio cascare a pennello. Difatti, una volta ricontestualizzato un determinato linguaggio, sarà difficile uscirne, a meno che non si ricontestualizzi nuovamente. In altre parole, questo disco, che potrebbe sembrare un misto di cut-up, glitch, downtempo, è il frutto di questa ricorsività di cui sopra. O almeno, sembra che il titolo sia stato dato per riassumere il processo creativo del disco, non tanto quello che è dentro il disco. E il motivo è molto semplice: se così non fosse, come si sarebbe in grado di determinare un linguaggio se non “uscendo da esso”? Void è dovuto “fuoriuscire” posteriormente dal suo linguaggio per poterlo definire, manovra anch’essa pienamente coinvolta in questa mise en abyme. L’ascolto è un viaggio ai limiti dell’oscurità che può toccare le corde di artisti come Stine Janvin, Holly Herndon e le nuove frontiere della vocalità ritmica grazie ai lavori di postproduzione.

Opere chiaramente ponderate quando concepite ed ecco la croce e delizia del disco: per poter entrare in questo linguaggio, abbiamo bisogno di pazienza, impararne il suo ritmo e solo dopo scopriremo il suo significato, sperando che non si chiudano gli spiragli di luce che possono spuntare occasionalmente quando immersi in successioni di esperienze che si chiamano semplicemente “vita”.

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