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Uochi Toki – La Magia Raccontata Da Una Macchina

2019 - Dio Drone
storytelling / sperimentale

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Tracklist

0. Prologo
1. L'Universo, i Mondi, il Mondo
2. I Draghi, gli Animali, gli Esseri Umani
3. La Sorgente delle Ombre, il Baratro, il Primo Mago
4. Il conflitto tra Maghi, Draghi e Manticore
5. L'Alchimista
6. 7 esempi di maghi eterodossi
7. Gli Altromanti


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I Uochi Toki ci avevano avvisato qualche anno fa: “Il limite valicabile”. E il limite è stato valicato, non allora, bensì oggi. Le prime avvisaglie – o gli elementi costitutivi – su “Libro audio”, a seguire il connubio con Nadja poi “Il cartografo” e infine il viaggio giunge qui, a “La magia raccontata da una macchina”.

Un iter inframezzato da normalità più o meno atipiche, da sinceri modi di affrancarsi una volta per tutte con un bel calcio sui denti dal mondo dell’hip hop, cui già non facevano parte e ora mai faranno. Vuoi per il loro modo di porsi (o forse sarebbe meglio dire non porsi), vuoi per l’indigeribilità della loro costituzione cellulare, vuoi perché l’hip hop c’era ma non si vedeva, come in un trucco da prestigiatori riuscito egregiamente. A volte fastidiosi persino per chi li ama, e in fondo li odia, perché una volta tanto sarebbe bello e lecito aspettarsi qualcosa, invece no, mai. Per questo la bilancia tende all’amore, ma è sempre in bilico tra mossa geniale e [inserire catchphrase fantozziana]. Ogni volta centrano il punto, ogni volta non li puoi criticare apertamente, perché seppur dalla parte della ragione, ti basta ragionarci su per capire che hai torto. Contorto.

Se, in quel mondo ripudiato, la fantascienza ed i suoi meandri cyberpunk furono raccontati dalla creatura Artificial Kid, con Danno narratore gibsoniano in bilico tra neuromanzia, Dick ed Orwell, e quindi in fondo spesso distaccato, Napo e Rico ci s’infilano sul versante Möebius/Adventure Time. Un fumettista ed un cartone animato, sì. Non li scelgo a caso. Trasceso il genere, arriva anche l’affrancamento definitivo dalla forma, che si spezza once and for all divenendo immagine impossibile da dividere dal suono: “La magia raccontata da una macchina” è un fumetto audio. Matteo Palma divide il suo essere tra il Napo narrante ed il Lapis Niger costruttore di sogni.

Il meccanismo di fondo è quello de “Il cartografo”, con le immagini compendio inscindibile dal sonoro ma, con al posto del “lettore” Giovanni Succi, il detentore del microfono dei UT, e la sua matita in fermo immagine dislocati nello spazio e nel tempo che si tramutano nell’essenza fumettistica che caratterizza il (non) disco in questione. Quest’ultimo è scandito da un Rimondi ormai avvitato su soluzioni bleep/glitch post-atomiche, ill-bientate, kubrickiane e tanto poco anonime quanto infestanti, ovvero mutanti che seguono il ritmo del solo racconto senza seguirlo affatto, in un’involata di meta anti-narrazione kosmische che freme nel ghiaccio.

Di linee e forme che si fanno via via più intricate, basate su geometrie astratte e colpi al basso ventre prorompenti in un biancoenero che rende ciechi, energiche sinuosità palesano una storia che fa a spallate col tempo e con le realtà: una macchina si mostra a noi, prende vita, autonoma dagli esseri umani come si è auto-determinata e comincia a mostrarci il racconto del suo (nostro?) pianeta, dalla sua formazione primeva che vede la nascita dei Draghi, perno della Creazione, sostrato di una natura irrequietamente pacifica, come sua natura. La voce è un  monocorde metallico, proprio della macchina, e si stende a-ritmico sui tappeti sonori, che evolvono con l’allargarsi dell’affresco, fatti di pulsazioni soffici e spazzate algide. Si compie così un viaggio con un io-narrante meccanico in campo, pur non essendolo, voce extra-diegetica che entrerà in contatto con il racconto ed i suoi protagonisti in un’occasione specifica.

Nascono a questo punto i Maghi ed essi s’allontanano volontariamente dagli Umani, quando vi fanno ritorno è per dare vita a qualcosa che sfugge dal controllo creando un Conflitto. Qui comincia a farsi sentire un ritmo vero e proprio, le basi si smuovono in più occasione, sia come figure ritmiche sia come genitrici melodiche avulse dai rintocchi coiliani di prima ma è subito immersione in onde quadre verso lunghe code di vuoto vocale. Gli esseri umani si battono, come unica loro ragione di vita, ignorano voci sagge ed antiche, mostrando la propria debolezza, così la storia si fa spazio nella nostra realtà, ci indica come se fossimo noi ad aprire le danze di guerra, alla ricerca di nemici in noi stessi. La paura, la paranoia si insinuano, e ci rendono folli e sciocchi. Il ritmo cessa di esistere e le estensioni sintetiche divengono un tutt’uno con la voce al silicio, ce ne dimentichiamo, quasi, poi risorgono, e si trasformano in segnale in codice. Industrialmente minimali.

Io stesso, per scrivere tutto ciò, ho dovuto adattare una recensione musicale ad un usus scribendi più tipico della narrativa. Come se vi stessi parlando di un libro, una storia, cosa che in effetti è. Non è un disco, ma lo è. Ti smarmella il cervello. È tutto e niente, ti schiuma la testa ma poi, quando finisce, forse ne vorresti ancora, quasi che ogni riverbero non fosse l’ultimo. Alla fine, non vi so nemmeno dire se mi sia piaciuto oppure no: sta in quella zona grigia tra quello che avrei sempre voluto ascoltare e quello che non ascolterò mai più. Forse. Troppo.

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