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Robin Hayward – Words Of Paradise

2019 - Edition Telemark
avantgarde

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Tracklist

  1. Words Of Paradise (Side A)
  2. Words Of Paradise (Side B)

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Parlare di questa uscita mi fa lampeggiare in testa un testo che è stato capostipite del neoempirismo di inizio ‘900: “La filosofia dell’atomismo logico” di Bertrand Russell che teorizzava, appunto, i cardini della logica rapportati alla percezione e alla conoscenza partendo proprio da elementi base della nostra conoscenza. Se facciamo un ulteriore passo avanti, notiamo come quel tentativo teorico di Russell partisse dal fatto che ci fosse isomorfismo tra la realtà che viviamo e la logica del nostro linguaggio. Per cui, se vedo una casa davanti ai miei occhi, avrò il correlato linguistico di quella casa davanti a me che sarà “quella casa davanti a me”, e così via. Elementi atomici del linguaggio (come “la casa è rosa”) può unirsi ad altri atomi con operatori logici (e, o, con, se, allora, ecc.) per formare proposizioni molecolari (la casa è rosa e il cielo è blu).

Lasciando da parte l’isomorfismo e le proposizioni molecolari, concentriamoci sull’atomo. Prendiamo le mosse da questa innata correlazione tra mondo e linguaggio per spingerci verso questo progetto musicale estremamente geniale nella sua semplicità: “Words of Paradise” di Robin Hayward. Il punto di partenza è l’ispirazione dello studioso fiammingo del rinascimento Jan Gerartsen Van Gorp secondo cui la lingua del Brabante fosse un linguaggio parlato in paradiso, poiché, essendo una lingua composta da elementi molto semplici, necessariamente non poteva che essere embrionale, originaria, “protostorica”. La lingua fiamminga del Brabante Settentrionale, secondo il ragionamenti di Becanus, essendo costituita da un gran numero di parole molto corte, molto di più del greco, o del latino o dell’ebraico, è automatico che provenga da matrice divina.

E qui, lo spunto di riflessione è automatico: che la semplicità debba necessariamente essere l’origine è sicuramente un punto di partenza arbitrario. Chi non ci dice che quella semplicità, quella povertà, non sia il frutto di decenni o secoli di studio e di adattamento della lingua? In ogni caso, questo tipo di percorso “a ritroso” è fecondo per la prospettiva estetica. Mi viene in mente l’opera Syllables di Nate Wooley, in cui si cerca di “inventare” un grado zero della grammatica musicale, del linguaggio musicale costituito da elementi semplicissimi, da atomi, microtonalità dilatata fino all’essenzialità del “fraseggio”, costituito da singole sillabe.

Ecco che Robin Hayward ha saputo ritornare a questo tipo di pratica con un piccolo collettivo di fiati e archi e attraverso la valvola tonale dei vari strumenti, riescono a spostarsi negli anfratti apparentemente assenti di un linguaggio così semplice. Hayward difatti si muove entro le 13 parole-sillabe che lo studioso fiammingo aveva utilizzato per corroborare la propria tesi proto-linguistica.

La feconda semplicità porta ad un percorso ascendente e l’essenzialità della sonorità è solo la culla di ciò che reputiamo più complesso anche se, le cose complesse, non sono altro che tante piccole cose semplicissime unite.

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