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Anderson .Paak – Ventura

2019 - Aftermath / 12 Tone Music / LLC
r&b / hip hop

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Tracklist

1. Come Home (feat. André 3000)
2. Make It Better (feat. Smokey Robinson)
3. Reachin’ 2 Much (feat. Lalah Hathaway)
4. Winners Circle
5. Good Heals (feat. Jazmine Sullivan)
6. Yada Yada
7. King James
8. Chosen One (feat. Sonya Elise)
9. Jet Black (feat. Brandy)
10. Twilight
11. What We Can Do? (feat. Nate Dogg)


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A soli sei mesi dal non memorabile ma comunque valido “Oxnard” , rieccoci a parlare di un disco fresco di stampa di Anderson .Paak. Gli ingredienti non cambiano di una virgola: una splendida sintesi del meglio della Motown, rielaborato attraverso una sensibilità mutuata da trent’anni d’hip hop e restituita in forma compiuta guardando a Prince, George Clinton e Quincy Jones per stabilirne le coordinate. Scusate la franchezza ma se vi sembra poco, avete bisogno di un bel ripasso di come e dove la musica sia cambiata durante l’ultimo mezzo secolo.

Dr. Dre nella duplice veste di produttore esecutivo e ingegnere del suono, lascia al suo pupillo la massima libertà creativa. La sezione ritmica non può che restituire l’unicità del suo tocco, un suono caldo, corposo e accattivante che fa bella mostra di sé in ogni colpo dato alla batteria e ogni nota di basso. Se il maestro appare in gran spolvero, l’allievo non è certo da meno: Anderson ha così tanto stile che risulta quasi imbarazzante stare a sottolinearlo. Canta, suona e rappa, spesso tutte e tre le cose nello stesso pezzo, è un intrattenitore nato e i neanche quaranta minuti di “Ventura” non fanno che rimarcarlo.

Si fa il pieno di classe da subito con il morbido groove di Come Home, che rievoca la magia dei giorni migliori di Diana Ross e ospita un André 3000 che a dispetto dei continui e dichiarati propositi di ritiro, non potrebbe essere più in forma. La Detroit di fine anni ’60 evocata solo idealmente nell’incipit, si materializza nella persona di Smokey Robinson su Make It Better, cadenzata e avvolgente, co-prodotta da quel volpone di Alchemist che sì, di solito preferisce musicare rapper tosti e senza remore, ma sui pezzi soul si muove come un pesce nell’acqua.

Chi apprezza brani più articolati, troverà pane per i suoi denti con Reachin’ 2 Much, la cui imprevedibilità nella caduta degli accenti potrebbe causare qualche grattacapo a chi si ritroverà a ballarla sotto palco, e Chosen One la cui multiformità non può che ricordare l’ultima uscita targata N.E.R.D.. Pharrell Williams si palesa direttamente nella stesura e nei cori di Twilight, Jet Black illude per pochi istanti di essere una ballata pianistica ma cede presto il passo a un funk trascinante e ultra melodico. La conclusiva What We Can Do? riesce a riesumare il compianto Nate Dogg, rifuggendo alla grande il rischio di suonare come l’ennesima “operazione nostalgia”.

Il disco osa quel tanto che basta per non finire nella miriade di lavori (anche buoni) ascoltati un paio di volte e mai più considerati. La sua grande forza è inserire tutta una serie di piccole finezze, dalle spezzature nella linearità dei ritmi al ricorso ad arrangiamenti piuttosto raffinati (i fiati di King James su tutti) su pezzi ballabilissimi, in una cornice altamente caratteristica e fruibile anche da appassionati con qualche primavera in più sulle spalle. Una splendida sintesi di modi d’intendere e performare la musica nera attraverso i decenni che, c’è da scommetterci, dal vivo potrebbe funzionare addirittura meglio.

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