Impatto Sonoro
Menu

Recensioni

Spotlights – Love & Decay

2019 - Ipecac Recordings
post metal

Ascolta

Acquista

Tracklist

1. Continue The Capsize
2. The Particle Noise
3. Far From Falling
4. Until The Bleeding Stops
5. Xerox
6. The Age of Decay
7. Mountains Are Forever
8. The Beauty of Forgetting
9. Sleepwalker


Web

Sito Ufficiale
Facebook

Ponete caso che esista un gruppo che viene scoperto da Aaron Harris – se non sapete chi è verrete cacciati dal sito, ma prima sarete eruditi del fatto che ei fu batterista degli Isis – e che, in seguito a tale scoperta, egli passi un brano a Chino Moreno e che di conseguenza questa band finisca per aprire i concerti dei Deftones. A questo punto costoro vengano invitati a condividere il palco da Melvins, Quicksand, Glassjaw e Pelican e che, infine, essi vengano pure presi sotto l’ala protettrice di Chad Wackerman e dal suo collega d’etichetta Mike Patton. E contando che tutto ciò avverrebbe nel giro di poco più di un anno, ecco, voi ci credereste all’esistenza di un gruppo talmente potente da ottenere tutto ciò?

Ebbene dovreste, miei cari miscredenti, perché esiste. Si fanno chiamare Spotlights i coniugi Mario e Sarah Quintero, una famiglia che s’allarga all’ormai presenza fissa del batterista Chris Enriquez, e sono capaci di racchiudere in un disco una tale quantità di bellezza e strapotere da lasciare interdetti. Io stesso li ho scoperti quasi per caso – proprio com’è capitato ad Harris – con il loro album del 2017 intitolato “Seismic”, un disco che ha lasciato noi della redazione imbambolati e vieppiù in adorazione.

In altre circostanze vi direi di non abbandonarvi a tali sentimentalismi e di venire al sodo, ma non è questo il caso, perché con “Love & Decay” è proprio il sentimento a fungere da protagonista dell’intera narrazione. In fin dei conti stiamo parlando di un disco che parla dell’amore che i Quintero provano l’uno per l’altra, un legame che si inspessice più i due si addentrano nelle fitte nebbie dell’esperienza di gruppo, tra un concerto e l’altro, nello stress dei tour e con sullo sfondo sempre presente, un mondo sempre più arcigno, capace di debilitare gli animi invitti e farsi beffe dello splendore, qui sta la decadenza e il viatico degli innamorati, anziché soffrirne ne trae forza e giovamento, in un affanno regolatore.

L’essere bifido si mostra a noi nella forma di un post-metal che eppur si muove, finalmente, spaziando in quello che potremmo definire un derivato marmoreo del noise-rock più aggressivo in contrapposizione alle voci di Sarah e Mario, che sole o all’unisono (come da formula rodata Buzz+Dale), prendono il largo veleggiando, come timoniere sentimento di cui sopra e toccanti forse come non mai, che a volte pare proprio di sentire l’eco di quegli Isis che furono e che tanto ci mancano, senza il fardello opprimente degli strati distorsivi di quel mostro morente che sono i Neurosis e ben lungi dalle ripetitività della scena post-rock&metal che seguitano a mostrare il fianco. Neppure i Mamiffer degli sposi Turner sono riusciti in tanto splendore, e giusto per fare un paragone così, intergenere.

L’estrema conseguenza di chitarre come rulli compressori si fanno strada mano nella mano con bassi che ruggiscono mostruosi (chi ha detto Unsane?), spianando e distruggendo ma, ecco la chicca, quella cosa che ti fa dire “sei un essere diverso, solo tu nell’universo” (scusatemi), ovvero i synth, che rintoccano prepotenti e silenziosamente malinconici, si spingono sottopelle fino ad uscire al primo taglio disponibile, tra fiotti di sangue mentre baci incontrollabili si prendono una scena tutta intasata dalla distorsione, eccoli che fanno capolino, come tante catene eighties che rilucono e serrano gli anelli ai polsi, come raggi di chiaro tra tempeste ferali, squarciano la coltre metallica inspessita ulteriormente dalla batteria rutilante – ma mai eccessiva – come una chirurgica spirale in punta di fioretto che stocca e centra il bersaglio senza perdere un colpo uno. È il tocco, quello che spicca e rende un disco di questo genere fresco e leggero come una palla di cannone bianca quanto una piuma di colomba ed infilata dritta nell’organo pulsante, che ci fa innamorare a nostra volta dell’amore che quei due provano vicendevolmente.

Ma forse mi son sbagliato, qui di fioretto non c’è nulla. Solo una spada dritta, dura e fredda come il ghiaccio, pronta a scaldarsi col liquore che sgorga dalle vene di chi ne viene trafitto. La sua lama nera affonda, così come affondano una ad una le melodie che gli Spotlights hanno forgiato per noi. Ve l’avevo detto che ci eravamo presi una cotta, e pure di quelle toste.

Piaciuto l'articolo? Diffondi il verbo!

Altre Recensioni