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“10.000 Days”: lo splendido colore “sbagliato” nel quadro perfetto dei Tool

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3 Maggio 2006. Vercelli.

Il telefono dà libero…click:

“Tune Dischi, mi dica.”

“Sì, salve, è arrivato 10.000 Days‘ dei Tool?”

“Poco fa.”

“Bene, ce ne tenga da parte tre copie!”

“Va bene.”

Click.

Tune Dischi è a Novara, quindi io e i miei due compagni d’avventura saliamo in auto e sgasiamo senza pietà verso la nostra meta. Meno di venti minuti ci separano dal nuovo disco dei Tool, cazzo. Dopo ben CINQUE anni d’attesa. Vi rendete conto? Cinque anni sono tantissimi. Detto ora fa molto, molto ridere, ma al tempo era una faccenda dannatamente seria. Eravamo abituati ad album che uscivano due, massimo tre anni di distanza gli uni dagli altri. Non potevamo più aspettare. Impensabile attendere un giorno in più, e poi il negozio di dischi di Vercelli ormai aveva chiuso i battenti.

Parcheggio coatto, corsa a perdifiato, ci siamo. Spalanchiamo la porta.

“Buongiorno, abbiamo chiamato prima per tenere da parte tre copie di…”

“’10.000 Days‘ dei Tool. Eccole.”

Le piazza lì, sul bancone. Le osserviamo famelici. È tutto vero. Ma sono bellissime! Digipack con quelle che sembrano due lenti, da non crederci. Ci guardiamo ed i nostri sguardi dicono: “Abbiamo beccato pure la limited edition, la vita è davvero magnifica oggi!” L’uomo ci scocca un’occhiata di sottecchi a metà strada tra il divertito e la pietà assoluta, però si vede che ci capisce. Paghiamo al volo e corriamo in auto. Che fare? Si ascolta subito oppure ognuno a casa propria, come se stessimo parlando del porno più porno del mondo? Dai, un pezzo lo sentiamo.

Scartiamo, un CD scivola nell’autoradio e lì accade qualcosa di estremo. Vicarious prorompe nella macchina e ci fa a pezzi. Siamo commossi. Guardiamo i libretti, con gli occhialini inclusi, abbiamo il fiatone. Leggo che non c’è più Bottrill, ma Joe Barresi (“Raga, ma è quello che ha prodotto i Melvins!”). Si sente perché non si tira più di scherma ma sembra che Stockhausen si sia reincarnato in un tank gargantuesco e stia sparando proiettili fatti di piombo, amore e luce. Però è strano, come canta Maynard? Sembra più APC che Tool. Poi la struttura del brano, whoa, Danny Carey piazza un tempo e pattern impossibili ma il pezzo è maledettamente…beh…rock! Riascoltiamo più volte e mi scodellano a casa. Gradini a due a due e sono dinnanzi allo stereo, metto su il disco e mi preparo. È vero, è più rock, che è quasi “”””pop”””” per la loro concezione della faccenda, eppure è totalizzante. Non è più un racconto omogeneo ma tanti piccoli passi in una dimensione duplice, come quella che si incanala nei disegni di Alex Grey.

Ma poi ci sono le due Wings, e Dio mio che tuffo al cuore, un cerchio che si chiude, apertosi con Judith su “Mer De Noms” e qui s’infrange in tutta la consapevolezza della fine, della morte. Però com’è lineare ‘sto disco, anche se, cazzo è magnificamente intricato ed intrecciato, mi fa impazzire. The Pot con una prova vocale indecentemente bella, e poi la rabbia, Jambi che dicono parere i rimasugli di roba da “Aenima”, ma anche no, è roba nuova! E Rosetta Stoned? Forse il pezzo più brutto in assoluto dei Tool, mi fa impazzire, che si potrebbe risolvere in cinque minuti scarsi lo fa in undici! Ma ci metterà tutti d’accordo quel capolavoro di Right In Two, ne sono assolutamente certo.

Ma la mia storia legata a “10.000 Days” ha un epilogo lungo e passa da tre città.

19 giugno 2006 – Datchforum (ex Forum), Assago

All’entrata ci consegnano un disclaimer cartaceo il cui senso è “NO FLASH – NO PHOTO –  NO VIDEO” (ce l’ho ancora appeso alla porta), perché ci sono gli effetti laser, non rovinateli. Un sogno che si avvera, finalmente loro quattro sono davanti a me, immensi, MJK schivo in fondo al palco, quasi al buio, Chancellor che non capisco come lo suoni quel basso, Adam è un monolite immoto e Carey, Cristo, è dietro un’astronave d’acciaio. Le luci sono quelle che troveresti in un “Tron” con le atmosfere a metà tra “Alien” e un film di Cronenberg, e la scaletta è qualcosa di più. A metà concerto fanno gli sgargianti, scherzando sull’impossibilità di fare foto e mettendosi in posa in favore d’obiettivo. Sempre loro, gli antesignani del trolling.

12 novembre 2006 – Mazdapalace, Torino

Non ci è bastata Milano, non ci hanno fatto le Wings, ritentiamo. E poi, parliamoci chiaro, quando ci ricapiterà che i Tool tornino a distanza di così pochi mesi in Italia? Prima di loro i Mastodon, freschi freschi di “Blood Mountain” e quindi sono lì anche per loro, e tengono un sacco botta, fanno i pezzi da cento e ci lasciano stesi per il piatto principale. Con cosa iniziarono i Tool? Ah, non ricordo. The Grudge? Forse. Beh, niente Wings anche qui. Le fecero a Firenze. Maledetti.

2 settembre 2007 – Independent Day, Parco Nord, Bologna

Sono neopatentato (non l’ho presa a 18 anni, e allora?) ma non mi frega un cazzo, salgo sulla mia Ypsilon nuova fiammante e vado fino al capoluogo emiliano. L’occasione è di quelle imperdibili: Tool e Nine Inch Nails sullo stesso palco. “10.000 Days” e “With Teeth” (“Year Zero” posso ignorarlo?). Suonano prima i californiani e lo show è di quelli magistrali, al solito sì, ma meglio. Maynard a questo giro è vero frontman, cappello da cowboy calcato in testa, cintura da carpentiere stretta in vita e piglio da mostro sbavante che ringhia contro la folla. Una cascata di sberle. Poi si danno il cambio con la combriccola di Reznor. Trent e Keenan si incrociano, parlottano e sghignazzano e i NIN mandano tutti a casa con una line up micidiale (White, North, Freese e Contini), un concerto di quelli che fan prendere fuoco le mutande e sto proprio ad un passo da Dio.

Ok, ok, fine dell’epilogo. Post-epilogo e coda. È stato un articolo strano, ma andava messo giù così. Ho fatto tutto ciò che potevo perché me lo sentivo che avremmo aspettato tanto prima di rivedere in azione Maynard, Adam, Justin e Danny e avevo ragione da vendere. I Diecimila Giorni non sono stati i migliori dei Tool, è vero, è vero, ma per me sono stati quelli che ho vissuto in prima linea. È quel disco che pare un colpo di coda e abbiamo tutti temuto fosse il loro lascito, il capitolo diverso, il colore sbagliato nel quadro perfetto che è stato la loro discografia. Forse è proprio così, o forse no, mentre scrivo questa robaccia ancora non ne ho la benché minima idea. Posso comunque ritenermi soddisfatto.

 

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