Impatto Sonoro
Menu

Interviste

Intervista a STEFANO PILIA e MASSIMO PUPILLO

Pilia Pupillo

Ai nostri microfoni oggi una delle coppie sonore più introspettive e sperimentali dello stivale, il duo Pilia+Pupillo. Stefano Pilia è chitarrista degli In Zaire, Afterhours, ha militato nei Massimo volume e vanta un’attività solista fortemente incentrata sulla sperimentazione; Massimo Pupillo è il bassista degli ZU, al momento alle prese con il decennale del loro iconico disco “Carboniferous”. Freschi della pubblicazione del disco “Dark Night Mother” (qui la nostra recensione), il duo ci racconta della loro storia, della musica e delle loro ispirazioni.

Ciao Stefano, ciao Massimo grazie per la vostra disponibilità! I nostri lettori conoscono sicuramente i vostri progetti più blasonati, ma magari avrebbero piacere a capire come è nata l’idea di formare questo duo, volete spiegarci brevemente come vi siete trovati e come avete deciso di suonare insieme?
M: Ci siamo conosciuti una decina di anni fa. Stranamente i primi a parlarmi di Stefano furono Oren Ambarchi e Stephen O Malley dei Sunn o))). Il che ti conferma che spesso le nostre eccellenze sono più conosciute e valorizzate all’estero che in Italia. Dopo aver ascoltato i suoi 3/4hadbeeneliminated invitai Stefano ad aprire per un live degli Zu. Da lì siamo diventati amici. Stefano è una parte importante ed integrante degli ultimi due album degli Zu, Jhator e Zu93, ed un eccezionale compagno di viaggio.
S: Massimo mi chiamò al telefono per invitarmi ad aprire il concerto degli Zu al Crash di Bologna e accettai con grande entusiasmo. Al tempo avevo appena pubblicato un disco di canzoni elettroacustiche dal titolo “Blind Jesus”. Cosi misi in piedi un quartetto con Andrew Leslie Hooker, Salvatore Arrangio e Dominique Vaccaro per realizzare un breve Blind Jesus live, mai più replicato ne prima ne dopo. Da quel momento Massimo ed io siamo rimasti pressoché quasi sempre in contatto condividendo tantissime cose.

Riguardo al vostro ultimo lavoro, qual è la linea creativa che avete seguito? Voglio dire, abbiamo sentito lo slancio ambientale e meditativo, musica per piante l’avete definita; c’è qualcosa in più che volete condividere e che magari noi non abbiamo colto?
M: Le piante sono sulla terra da molto prima di noi e sono intelligenti. I funghi hanno reti neurali lunghe centinaia di chilometri. L’uomo moderno è un essere arrogante, presuntuoso e distruttivo.

Il titolo “Dark Night Mother” richiama la figura della madre, anche le voci femminili fanno riferimento a questo immaginario, da cosa deriva la decisione di trattare questo tema?
M: Mother in questo caso non sta letteralmente per madre ma per origine, creazione, ritorno, nel senso primordiale del significato. La grande madre oscura, Iside, Kali, la Madonna Nera, è un archetipo e la forza degli archetipi ti sceglie, non sei tu a scegliere loro.

Sappiamo che il disco è stato registrato in varie location, a volte addirittura all’aperto, come mai questa scelta? Vi stava stretto lo studio di registrazione? Qual è stato il luogo che vi ha ispirato di più?
M: Non è questione di stare stretti ma di voler uscire, provare, sentire un richiamo.
S: La Musica è una condizione eterna dell’essere di cui siamo sempre, anche inconsapevolmente, partecipi. L’eterna danza di Shiva. Questa immagine di eternità mi ispira più di qualsiasi luogo. Qualsiasi luogo o atto che esprima anche un piccolo seme di questa qualità è “riuscito” e porta ispirazione. Maestra Olivia attraverso il suo canto riflette e riporta a questa qualità.

Personalmente sono molto affascinato dalla cultura sciamanica, so che in due pezzi avete collaborato con due sciamane amazzoniche, com’è stato il rapporto con loro? Banalmente come avete fatto a chiedere loro di cantare sulla vostra musica?
M: Abbiamo partecipato in prima persona a delle cerimonie nel loro villaggio e con delicatezza, dopo esserci conosciuti approfonditamente, abbiamo chiesto se potevamo registrare i loro canti tradizionali.

Ci sono altre personalità che hanno preso parte alla realizzazione di questo disco, volete dirci come mai avete scelto proprio loro? In particolare mi riferisco a Alexandra Drewchin e Sandra Canessa (rispettivamente una cantante newyorkese ed una pittrice di El Salvador).
M: Sono artiste amiche che ci sembrava potessero interpretare nel modo migliore la profondità del testo. La collaborazione é nata naturalmente.
S: vorrei ricordare anche il contributo davvero speciale di Cristiano Calcagnile alla batteria.

Pilia Pupillo

I vostri pezzi sono molto particolari e non seguono propriamente una forma canzone, cosa vi fa dire “ok questa è una canzone” e come capite quando uno specifico brano musicale deve essere stampato e condiviso con tutti?
M: Capiamo che un brano è completo quando ha raccontato la sua storia e ha compiuto la sua strada. Il concetto canzone stampata e condivisa lo trovo un po’ sanremese quindi mi limito a dire che un brano quando è sviluppato lo senti, lo senti e basta.

Strumentalmente in questo disco vi siete distanziati dai vostri strumenti “principali”, avete usato chitarre acustiche elettronica leggera e molti suoni d’ambiente. Come vi trovate al di fuori della vostra “zona di confort” strumentale? Come credete abbia influito questo aspetto sulla vostra musica?
M: Non credo che ci consideriamo limitati dagli strumenti che suoniamo maggiormente. Stefano è diplomato in contrabbasso e musica elettronica, ha suonato il violoncello in almeno due progetti degli Zu. Io ho studiato chitarra classica da piccolo e ho sempre avuto a che fare con i synth ed i nastri. La scelta dei timbri è come la scelta delle facce giuste per un film, è un casting, devi sentire quali timbri siano giusti per trasmettere una storia.
S: Pensiamo più in termini di rapporto con il suono. Gli strumenti sono dei mezzi attraverso i quali continuiamo ad esplorare il mondo sonoro. Oltretutto stare solo in quella che tu chiami la zona di comfort diventa noioso. Non impari più nulla e non trasmetti più nulla. C’è un vecchio detto popolare che mi ripeteva spesso mia nonna: “impara l’arte e mettila da parte”. Alcuni ci leggono una sorta di dichiarazione di inutilità dell’arte nella vita pratica. Io ho sempre pensato che significasse: “vai oltre!”

Come mai fare un disco così osato e così rarefatto? Che cosa volete trasmettere a chi mette il vostro cd nello stereo e preme play? Quei 40 circa minuti, come credete che possano influenzare o in ogni caso cambiare lo stato d’animo di un ascoltatore?
M: Quando la musica non è intrattenimento passivo per l’ascoltatore, avviene un incontro a metà strada. Noi porgiamo qualcosa, l’ascoltatore si sporge e la raccoglie, o la accoglie. Quindi questa domanda dovrei farla io a te, qual’è stata la tua esperienza di ascolto? 

Quando ascoltate musica per piacere personale che artisti ascoltate? C’è qualche artista che più di altri ha influenzato Dark Night Mother?
M: Ascoltiamo ed abbiamo ascoltato così tanta musica che non ci sono influenze dirette. Per piacere personale un ascolto che ci accomuna entrambi è sicuramente Arvo Part.
S: ho sentito, a posteriori, Dark Night Mother molto vicino nelle intenzioni a certa musica di Alice Coltrane, in particolare ad un disco come Turyasangitananda

Quale sarà il futuro del duo Pilia+Pupillo? Avete già qualcosa in programma che volete anticiparci?
M: Il futuro si crea nel presente. Quindi abbiamo affittato stabilmente uno studio in cui ci ritroviamo a bere tisane e suonare.

Ultima domanda di rito che pongo sempre agli artisti, se doveste dare un consiglio a qualcuno che sta scrivendo musica propria cosa gli direste? Qual è in assoluto la cosa più importante nel produrre musica o arte in generale?
M: Risponderei a questa domanda con la frase che dice Krishna ad Arjuna nella Bhagavad Gita: impara ad agire per la gioia dell’azione e non per i suoi frutti. Questo è un addestramento che può durare ed in genere dura, una vita. Aggiungerei una frase di Mark Hollis: prima di fare due note, impara davvero a farne una, e anche quell’ una, solo quando sia strettamente necessario. Aggiungo io: fai qualcosa che per te sia necessario, qualcosa che se non la facessi, staresti male.
S: Quest ultima cosa detta da Massimo mi ha fatto venire in mente un aneddoto su Karajan il quale aveva un modo molto particolare , quasi estatico di condurre le sue orchestre. Talvolta per alcuni nell’ orchestra poteva risultare difficile cogliere l’esatto momento di attacco nei suoi gesti cosi chiedevano delucidazione al direttore “maestro ma quando dobbiamo attaccare?” e lui rispondeva“ quando sentite che non potete più farne a meno”. In altri termini sta dicendo ai suoi musicisti : Ascolta e Ascoltati, vai oltre il mio gesto, lo studio, il lavoro preparatorio svolto, vai oltre ciò che sai, de-sidera perché solo cosi puoi partecipare pienamente con tutto te stesso e riflettere attraverso la Musica quella condizione eterna.

Piaciuto l'articolo? Diffondi il verbo!

Articoli correlati