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Fire! Orchestra – Arrival

2019 - Rune Grammofon
jazz

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Tracklist

1. (I Am A) Horizon
2. Weekends (The Soil Is Calling)
3. Blue Crystal Fire
4. Silver Trees
5. Dressed In Smoke. Blown Away
6. (Beneath) The Edge Of Life
7. At Last I Am Free


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Se voi vi siete già imbattuti nel jazzcore dei Fire! (il progetto inteso come trio o come orchestra), e se avete provato l’ebbrezza nel ricevere le varie sferzate sonore, ecco, dimenticate tutto perché qui siamo ad una svolta, che si chiama “Arrival” e che, oltre a vedere un organico più “ridotto” (invece di 28 elementi come in “Exit” ed “Enter“, e ancora meno dei 21 elementi di “Ritual“, qui vediamo una formazione di 14 elementi – chiaramente il trio è sempre presente: Gustafsson, Berthling e Werliin – con le due cantanti presenti, Mariam Wallentin e Sofia Jernberg.

Oltre a questa riduzione, la novità è anche nell’introduzione di un quartetto d’archi che, va subito detto, non funziona come il classico quartetto d’archi, che generalmente serve per enfatizzare fraseggi in stile “sanremese”, ma che lavora su texture, strutturazioni e stratificazioni che addirittura contrastano i fiati di Gustafsson generando veri e propri impatti e tessiture piene di calore, intimismo e dinamismo che raramente si trova quando collettivi di musicisti collaborano (mi vengono in mente, nonostante la distanza di generi, collettivi come Apartment House o Zeitkrazer che pur addentrandosi in generi musicali sul contemporaneo/astratto, non riescono a dialogare così facilmente tra loro alternando mood e intensità in un flusso ai limiti del continuo, nonostante i vari momenti differenti nelle varie tracce del disco. A differenza dei lavori precedenti, troviamo anche due cover: Blue Crystal Fire di Robbie Bash e At Last I Am Free (scritta da Bernard Edwards e Nile Rogers degli Chic, ma diventata celebre grazie alla versione di Robert Wyatt).

Va inoltre sottolineato che il processo di composizione è stato democratico, a cui hanno contribuito tutti i musicisti. Nei lavori precedenti era proprio Gustafsson che trainava il resto dalla big band, invece ora, questo metodo a tavola rotonda ha davvero contribuito molto a questo suono (personalmente parlando è stato davvero un toccasana, una ventata di freschezza che ha migliorato e schiodato i Fire da quella fossilizzazione eccessivamente core che, immaginavamo, sarebbe stata riduttiva rispetto alle capacità compositive del trio/orchestra). I momenti si alternano: la luce alle tenebre, l’improvvisazione ai cambi strutturati e pianificati; il sotterraneo e il tellurico. Ma ogni passaggio non suona mai forzato, mai naturale, mai un vero e proprio contrasto, quanto piuttosto come forze che si influenzano vicendevolmente, come il mare in tempesta e la quiete successiva. La differenza procede per gradi e come ogni differenza, non vi è mai una netta distinzione poiché già nell’origine che si trova la sua contraddizione (non vi è origine in sé; non ci chiediamo da dove è originata quella stessa origine…eppure dovremmo).

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