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Meat Beat Manifesto – Opaque Couché

2019 - Flexidisc
elettronica / glitch

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Tracklist

1. Untroduction
2. Pin Drop
3. [Ear-Lips]
4. Agelast
5. Hailing Frequencies Open
6. Bolinas
7. Call Sign
8. Moving Pulse
9. No Design
10. C/2015 V2
11. CarrierFreq
12. Forced To Lie
13. Break Test
14. Present For Sally
15. Critical Soul Vibrations
16. Wandering Soul #11


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Confesso che, appena vista la copertina monocromatica di “Opaque Couché”, mi è corso un brivido di terrore lungo la schiena. Quella indefinibile sfumatura di marroncino – che, con mia grande sorpresa, ho scoperto essere a tutti gli effetti un particolare tipo di colore, il cui nome nel sistema Pantone è proprio opaque couché – non prometteva nulla di buono. Insomma, guardatela voi stessi: non c’è bisogno che vi spieghi a cosa ho pensato immediatamente.

Premo play con il timore di venire travolto da un’improvvisa zaffata di escrementi elettronici. E invece, sorpresa: “Opaque Couché” è un bel disco. Anzi, è davvero un bel disco. D’altronde, non c’era da attendersi nulla di diverso dal buon Jack Dangers e dai suoi Meat Beat Manifesto, che già l’anno scorso avevano confermato l’ottimo stato di salute con “Impossible Star”, sbucato fuori dal nulla dopo quasi un decennio di silenzio.

Queste nuove sedici tracce recuperano le atmosfere cupe, dense e apparentemente quiete contenute nel precedente lavoro e, allo stesso tempo, alzano di molto la posta in gioco. La differenza sta nei dettagli. Minuscoli elementi digitali che, presi singolarmente, sarebbero perlopiù impercettibili, qui concorrono nella formazione di intricatissime reti sonore in cui una pletora di generi diversi – jungle, drum and bass, house, dub, IDM, trip hop, glitch e chi più ne ha, più ne metta – si scontrano e si amalgamano.

La confusione regna sovrana; ma è una confusione desiderata, elaborata e piegata al volere dei Meat Beat Manifesto, che di volta in volta tagliano e cuciono, costruiscono e distruggono. Non è crossover, ma un vero e proprio patchwork elettronico nel quale immergersi e perdersi completamente. Inutile cercare definizioni per rendere l’idea dietro “Opaque Couché”: immaginate un incrocio semi-strumentale e futuristico tra la profondità sincopata dei Boards Of Canada e la follia saccheggiatrice di John Oswald. Avete fatto? Bene: adesso coprite il tutto con montagne di inquietudine, pulsioni urbane, squilli di telefono, bassi squaglia-casse, batterie schizofreniche, voci disumanizzate e rumori statici. Godetevi il viaggio.

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