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Cave In – Final Transmission

2019 - Hydra Head
rock

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Tracklist

1. Final Transmission
2. All Illusion
3. Shake My Blood
4. Night Crawler
5. Lunar Day
6. Winter Window
7. Lanterna
8. Strange Reflection
9. Led To The Wolves


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Il problema dei Cave In è sempre stato quello di non avere coraggio a sufficienza per mantenere le proprie scelte musicali, anche quando troppo strane e distanti dalla zona di confort propria e di un pubblico che non si potrebbe proprio definire di larghe vedute. Ciò è riconducibile al fatto che dopo due album che hanno fatto dello space e dell’alternative rock – con quel goccio di post-core progressivo a macchiare il tutto – i propri cavalli di battaglia (mi riferisco chiaramente a “Jupiter” ed “Antenna”) il gruppo originario del Massachusetts ha preferito fare dietro-front e tornare ai propri pruriti metal (e dopo il nuovo album dei Mutoid Man so a chi imputare la colpa).

Oggi, invece, la  band inverte questa tendenza e dimostra che il coraggio non le manca, partendo da quello necessario a pubblicare un album dopo la scomparsa del bassista Caleb Scofield. Il disco era abbozzato, le prove fatte e i pezzi scritti e anche incisi in prima battuta, bisognava rifinire, cantarci sopra, renderlo compatto. Ma non è andata così. Sarebbe pleonastico ed irrispettoso ricamare su una recensione tutte quelle figure retoriche circa vita e morte, ineluttabilità e amare conseguenze. Il punto fermo resta il coraggio di completare qualcosa che fa soffrire, ed il perché è chiaro e lampante. Quindi mi limiterò ad osservare quanto “Final Transmission” sia un disco terribilmente godibile ed interessante.

Questo perché riprende quel filo conduttore di cui sopra, abbandonato nel 2003 e che gli era valso pure un posticino su major, peraltro meritatissimo. Tornano le melodie e gli hook melodici, i ritornelli e un easy listening che tanto easy poi non è. “Final Transmission” non è solo un disco assolutamente scorrevole e un mattone di piombo che si piazza sul cuore e lì rimane, ma sembra anche completo pur avendo il sapore dell’incompiuto (e spesso sono proprio i suoni a far venire a galla quest’impressione), ha l’aria di aver detto tutto ma nelle proprie omissioni sembra nascondere altro ancora. Brodsky torna ad esibirsi in tutta la sua bravura vocale e sfodera il suo timbro più intimo e pop rendendo riconoscibili i brani uno ad uno, cosa non proprio scontata. Il piatto è letteralmente molto ricco, e il lavoro al basso e in fase di songwriting di Caleb è eccezionale, mai scontato. Ci sono dei bei richiami desert rock (la QOTSiAna Winter Window è pura delizia e fa il paio con l’arrembante Night Crawler), noise stralunato in medias res impreziosito da voci eteree (Lunar Day), epicità pop rock muscolari (All Illusion) e malinconiche (Shake My Blood), ma sempre melodicamente incisive e imponenti nel proprio essere delicate.

Non siamo davanti solo ad un tributo al talento indiscusso di uno dei migliori musicisti della musica pe(n)sante degli ultimi vent’anni, ma alla possibilità di riprendere in mano qualcosa di forte. Sarò egoista, lo ammetto candidamente, ma mi auguro che non sia la trasmissione finale di una band sottovalutata per troppo tempo. Un atto di coraggio, ve l’ho detto.

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