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Jambinai – ONDA

2019 - Bella Union
post rock / folk coreano

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Tracklist

1. Sawtooth
2. Square Wave
3. Event Horizon
4. Sun.Tears.Red
5. In the Woods
6. Small Consolation
7. ONDA Prelude
8. ONDA


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Col timore che “A Hermitage”, secondo album dei sudcoreani Jambinai, potesse essere poco più che un lampo nel buio che è diventato il post-rock del nuovo Millennio e che finissero dritti in quell’angolo oscuro che è la moderna memoria musicale, trovo sollievo nel constatare che il gruppo di Lee Il-woo, Kim Bo-mi e Sim Eun-yong si sia invece scavato un passaggio nel tempo e tre anni dopo rieccoli apparire sotto un sole più che mai accecante.

ONDA” ha il sapore del viaggio e delle lunghe tratte percorse a piedi, assorti nel timore. Paesaggi in lunghi piani sequenza che si srotolano sui crinali della mente, dispiegando quadri che si articolano con lentezza inesorabile, pronti a grattare via la superficie d’ombra inspessita posata sul cuore. Se quella base di post- che aveva caratterizzato la caoticità del suo predecessore è andata via via dileguandosi in favore di un approccio organico, le aspre figure geometriche tutte spigoli di “A Hermitage” non sono scomparse, hanno subìto un processo di erosione ed i suoni liquidi che le percorrono le hanno levigate fino a formare un oggetto curvilineo, armonico e di rara bellezza, quasi splendente. La dominante colore solare della copertina torna anche nelle composizioni, come un riflesso costante, tante vertebre in bella vista ricoperte di specchi.

L’elemento folk orientale – perno fondamentale del gruppo – che prima pareva spesso fare a pugni con il lato più “occidentale” costituito dalle soluzioni elettriche e ritmiche, ora si amalgama alla perfezione sfondando una spessa parete, formando un excursus di suoni unico, e davvero possiamo parlare di post-rock quando ascoltiamo la tradizione che si appropria della scena negli scroscii di In The Woods (riarrangiamento dell’omonimo brano presente sul primo EP della band) che, in un crescendo inarrestabile, si fanno, per l’appunto onde, impetuose benché lenitrici, di rumore bianco e distorto. Qui sta la forza dell’album: anche nei momenti più feroci nulla pare essere volto all’atto di sfasciare qualcosa. Qui si parla di curare il dubbio lasciandosi trasportare dalla corrente, dagli eventi e dalla brutalità della natura. Nasce da questo pensiero tutto il furore della title track, che non muta da tradizionale ad hardcore, fa coesistere i due universi, fino ad aprirsi in un aquilone elettrico di metallo, coronato da voci epiche ed aperte.

I colpi di mortaio di Sun. Tears. Red che attaccano in tempi dispari, pesanti ed arcigni che paiono nati più dalle chitarre di “Freedom” dei Refused che dai Meshuggah – come si sarebbe potuto pensare invece del materiale del recente passato – e le voci che da nervose si evolvono in furia, hanno ancora più effetto se appaiati alle aperture shoegaze celestiali della spettacolare Square Wave, eliminando così tutte le delimitazioni e aprendo la strada verso un nuovo modo di intendere il linguaggio ivi proposto.

Non capita spesso di poter parlare di qualcosa di originale, eppure ci sono casi in cui è possibile farlo, in territori non ovvii, e, intendiamoci, questo è proprio uno di quelli. La speranza è che presto i Jambinai assurgano di diritto a quell’aura di sacralità che hanno raggiunto i Boris. Se è pur vero che non vi è quasi mai nulla di nuovo dal fronte occidentale, da quello orientale è in arrivo una pioggia torrenziale di potente incanto. È un po’ che accade, è solo tempo di rendersene conto.

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