Impatto Sonoro
Menu

Recensioni

Baroness – Gold & Grey

2019 - Abraxan Hymns
rock

Ascolta

Acquista

Tracklist

1. Front Toward Enemy
2. I’m Already Gone
3. Seasons
4. Sevens
5. Tourniquet
6. Anchor’s Lament
7. Throw Me an Anchor
8. I’d Do Anything
9. Blankets of Ash
10. Emmett-Radiating Light
11. Cold Blooded Angels
12. Crooked Mile
13. Broken Halo
14. Can Oscura
15. Borderlines
16. Assault on East Falls
17. Pale Sun


Web

Sito Ufficiale
Facebook

Con una frase come Sono sicuro che abbiamo realizzato il nostro album migliore e più avventuroso di sempre” ad anticipare l’uscita di “Gold & GreyJohn Baizley si prende un gran bel rischio, soprattutto dopo aver scontentato non pochi dei fan dei Baroness con il precedente “Purple” (sentiti con le mie orecchie lamentarsene).

E manco fosse una sfida, accettata e già vinta con i due album più recenti, i quattro della Georgia – forti della new entry Gina Gleason – continuano imperterriti a battere i nuovi sentieri appena intrapresi, come in un viaggio senza ritorno. Meno male, mi verrebbe da dire, personalmente prima consideravo i Baroness pre “Yellow & Green” dei Mastodon un po’ troppo infognati con gli Iron Maiden ed il prog, poi la tavolozza dei colori si è arricchita di elementi nuovi e con una buona dose di bravura e coraggio il gruppo si è tirato ben presto fuori da tutto quel filone di metal alternativo appassito in fretta e furia (un decadimento che ha compreso gli stessi Mastodon, ridotti all’ombra di se stessi) e mai scelta fu più azzeccata.

Nuovamente accompagnati da Dave Fridmann e dai suoi suoni morbidi e sferici i Nostri si lanciano in un’epopea labirintica di brani dal retrogusto che cavalca onde ariose sospese inevitabilmente tra ’80 e ’90, suoni che rendono il mood dell’album stranamente solare ma e non per questo più allegro. Malinconia e attesa si librano sui pezzi in svolazzi dall’andatura barocca e non è raro incontrare chitarre corpose e lineari, arrotondate più che insorgenti, con la voce di Baizley sempre presente e mai come ora potente e ben calibrata. Certo che lo spettro metallico non ha lasciato il veliero fantasma del quartetto, ma è qui più orpello che influenza vera e propria, quasi una cornice, come ben attestano i momenti più nevrastenici di Throw Me An Anchor (che finiscono per abbellire il pop del ritornello super AOR) seppur le dimenticabili Broken Halo e Seasons sembrano voler scassare tutto il bel lavoro iniziato con il power-pop muscolare di Front Toward Enemies. Il basso di Nick Jost è molto più che una presenza aleatoria e si fa strada imperioso lungo ogni singolo riff a riempire tutti gli spazi liberi e nei riflessi sugli specchi della “stanza dell’oro” (scusate) di I’m Already Gone diventa parte integrante dell’architettura melodica, quasi come quello di Jeordie White negli A Perfect Circle, il cui suono del brano è ampiamente ascrivibile.

Che le melodie toccanti siano il filo conduttore di tutto il lungo incedere dell’album è evidente nei momenti più leggeri e vibranti della parte grigia, definendo le ballad come punto più alto di tutto il lavoro, che aprano portali spazio-tempo eighties sul deliquio psichedelico di Cold Blooded Angels o liquide carezze come in I’d Do Anything (che paiono quasi degli XTC epici suonati attraverso grossi amplificatori) e nell’inquientante Emmett-Radiating Light, in cui il gioco corale delle voci si ritaglia una bella fetta di un quadro space di matrice Settantiana, la cui matrice elettrica trova un duplicato in Pale Sun.

Verrebbe da dire a chi se n’è andato di tornare e riavvicinarsi a quello che sono i Baroness oggi, perché con un album tutto tranne che perfetto, troppo lungo, a tratti quasi frastornante data l’abbondanza di materiale e che cerca di mantenere collegamenti con un passato che mai come ora risulta davvero remoto, riescono non solo a convincere ma a crearsi un nuovo mondo a cui attingere per il futuro. Un valore aggiunto non da poco.

Piaciuto l'articolo? Diffondi il verbo!

Altre Recensioni