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JuJu – Maps And Territory

2019 - Fuzz Club Records
alternative rock

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Tracklist

1. Master And Servants
2. I'm In Trance
3. Mutherfucker Core
4. If You Will Fall
5. God Is A Rover
6. Arcontes Take Control


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Chi è JuJu? È Gioele Valenti, navigato songwriter palermitano, forse già noto a qualcuno di voi come Herself o come metà dei Lay Llamas. Di che mappe ci parla? Basti guardare la splendida copertina di Marco Baldassarri (batterista dei Sonic Jesus), che – con un po’ di fantasia – ci rivelerà un entroterra squadrato, sulla difensiva, le cui spiagge sembrano bagnate da una mareggiata di sangue. Dite che dovrei vedere uno psichiatra? Potreste aver ragione. In mia difesa, non sarebbe certo il primo riferimento di JuJu alla crisi dei rifugiati. E poi, per quanto macabra, quest’immagine diventa altamente plausibile considerando che il territorio in questione è l’America di Trump, la Gran Bretagna della Brexit, la Francia dei gilet jaunes, l’Italia di Salvini. Eh già, che tempo per essere vivi!

Terzo album col moniker JuJu, secondo per Fuzz Club Records, label londinese sempre sul pezzo e con le mani belle in pasta nello stivale (New Candys, Sonic Jesus, The Gluts), “Maps And Territory” si presenta come un vero e proprio lavoro “world music”, che si muove agile dall’Africa alla Scandinavia passando per il Mediterraneo con l’obiettivo di stendere un velo fuzz-oso sulla confusa geopolitica dei giorni nostri. In altri termini? Una melting-pot di afro-beat, desert-blues, neo-psichedelia e krautrock con derive techno e acid-jazz, miscelata sapientemente anche grazie all’aiuto di Goatman, percussionista mascherato del collettivo svedese Goat (di cui consiglio vivamente il primo lavoro, non a caso titolato “World Music”), e Amy Denio, nota poli-strumentista avant-jazz americana.

Il disco si apre coi tamburi di Master And Servants, un inno da guerra che risponde alla domanda: come suonerebbe la sigla di Game Of Thrones se fosse stata scritta dai Black Mountain? E la band canadese torna in mente anche nei canti gregoriani di If You Will Fall, sia per il dialogo fiati-chitarre stoner, sia per il falsetto in lontananza che ricorda vagamente la voce di Amber Webber. Nel singolo I’m In Trance, invece, pesano il featuring di Goatman e – più in generale – l’influenza dei progetti “world-music” del continente nero (in primis dei maliani Tinariwen, ma anche degli algerini Imarhan o del chitarrista nigeriano Bombino). Il basso d’apertura di Motherfucker Core ci illude per un secondo di essere rientrati in lidi meglio conosciuti (Black Rebel Motorcicle Club), quando ecco che arriva un bello schiaffo dal retrogusto techno-trance, trucchetto ormai iconico del progetto JuJu. Altra parentesi meno “esotica” del disco è sicuramente God Is A Rover, pezzone new-wave con un twist pseudo-orchestrale anni Zero davvero niente male, una sorta di ibrido tra Jesus And Mary Chain e Arcade Fire da ascoltare e riascoltare fino alla nausea. Il sipario si chiude infine coi nove minuti abbondanti di Arcontes Take Control, esperimento strumentale avant-acid-jazz degno dei King Crimson di “Island” con protagonista l’agrodolce sax di Amy Denio.

Maps And Territory” è decisamente uno degli album più coraggiosi usciti in questa prima metà del 2019, un lavoro privo di compromessi, dai toni quasi religiosi. La durata media delle tracce ne è emblematica: Giole si prende il tempo che gli serve per sviluppare le sue preghiere psichedeliche, che inneggiano provocatoriamente al primitivismo come drastica soluzione al cinismo dell’uomo contemporaneo. D’altronde JuJu, da buon stregone, ci aveva già avvisato un paio d’anni fa: siamo tutti figli della stessa pianta (“Our Mother Was a Plant”, 2017). Che pianta sia, poi, non ci è ancora dato sapere. A buon intenditor, poche parole.

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