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“System Of A Down”: tra ribellione, grida e melodie

Manifestazione studentesca, pogo sotto alle casse dei carri, profumo di marijuana….ecco, è in uno scenario simile che una mattina, a quindici anni, ho sentito per la prima volta i System Of A Down. Il primo contatto fu con Suite-Pee, prima traccia del disco che ha dato inizio alla storia del gruppo americano: l’omonimo “System Of A Down“. Il loro metal era particolare, non quello che ti aspetti da una band made in USA, c’era qualcosa di diverso. Cercai e così dai loro nomi, Serj Tankian, Daron Malakian, Shavo Odadjian, John Dolmayan, scoprii cosa c’era in più dietro a quella musica: l’Armenia, è quella l’origine dei quattro scapestrati ed è da lì che deriva quella nota di originalità che completa il loro sound in modo unico.

Quando ascoltai l’intero album, rimasi folgorato: metal alternativo con note melodiche dai toni orientali che non riesci proprio a capire da dove sono uscite. Nel video di Sugar mi trovai davanti a quattro matti pitturati, un frontman dalla capigliatura alla Caparezza, che creavano una musica imponente, violenta e frenetica. Al contrario in Spiders il sound diventava magnificamente melodico ed intenso, incorniciato dalla voce esotica del poliedrico Serj, che si rivelerà in futuro un talento musicale a trecentosessanta gradi.

Era proprio così, riuscendo a spaziare dal caos alla melodia, plasmandoli e mixandoli insieme, che il progetto SOAD diventava qualcosa di veramente particolare e importante. A partire dal nome della band, passando per la musica e arrivando ai testi, il fattore comune era sempre uno: rivolta e antagonismo verso un sistema malato e corrotto. 

Ascoltando “Toxicity” nel 2001, sentii quella stessa rabbia, frenesia e violenza musicale corroborata da quei motivi orientaleggianti. La stessa, rabbia frenesia e violenza? Proprio la stessa? A risentire entrambi i dischi oggi, posso dire che forse System Of A Down resta l’opera più cazzuta che ha caratterizzato questo gruppo: viscerale, selvaggia e naturalmente irriverente.

Seguii l’evoluzione del gruppo attraverso tutti i loro lavori, inclusi i dischi live e bootleg vari. Riuscii vederli anche dal vivo a Milano il 30 maggio del 2005 per il tour di “Hypnotize“, che poi sarebbe stato il vero ultimo tour: esperienza esaltante, esecuzione precisa coinvolgimento del pubblico, vero pathos dinamitardo. Sicuramente nell’ultimo tour, così come nel passaggio da un disco all’altro, lo stile mutava, si raffinava e loro non erano più i pazzi scatenati, pitturati, che saltavano come matti. Infatti, memore dell’asperità di brani come Know, P.L.U.C.K  (Politically Lying, Unholy, Cowardly Killers) o DDevil, qualcosa inevitabilmente era cambiato, mantenendo sempre l’identità del gruppo però. Negli ultimi due lavori sembrava che la corda della rivoluzione si fosse un po’ allentata, ma Serj e compagni, riuscirono a produrre fino all’ultimo buona musica.

Ancora oggi ascoltando questi dischi viene comunque da riflettere sul lavoro fatto dai SOAD: personalizzare così tanto la musica metal, non è per niente cosa da poco. Se diamo un’occhiata al panorama musicale odierno, a volte, ci sembra di masticare sempre lo stesso chewing gum. Proprio per questa penuria di novità, questo gruppo merita sicuramente il giusto riconoscimento per quanto è riuscito a dare alla musica e per quello che è riuscito a trasmettere al pubblico.

Peccato che i ragazzi abbiano deciso di fermarsi nel 2005, riunendosi ogni tanto per qualche esibizione dal vivo, ma nulla di più. Va ricordato, comunque, che alcuni dei membri singolarmente non si sono affatto arenati. Infatti, Daron, con i suoi Scars On Brodway, ha prodotto un paio di dischi, nulla a che vedere con il lavoro del suo ex gruppo. Se invece ci soffermiamo sull’attività solista dell’eclettico Tankian, abbiamo una disparità di generi musicali difficilmente immaginabile: spaziando dai lavori più metal, come “Harakiri” (2012), “Elect The Dead” (2007), riproposto in versione sinfonica con l’Auckland Philharmonia Orchestra (2010), musica classica vera e propria con “Orca Symphony No. 1” (2013), fino alla musica jazz con “Jazz Iz Christ” (2013). Insomma, non capita tutti i giorni un artista di tale calibro.

Chiudendo le parentesi soliste, se ripensiamo ai gloriosi inizi, sicuramente, il nostro lato casinista, metallaro, anarchico sente un po’ la mancanza di quei tempi, di quei quattro scapestrati. Per cui lo volete un consiglio? Se sentite quella nostalgia, prendete “System Of A Down” o “Toxicity” e schiacciate play: rivivetevi il metallo armeno/americano dei SOAD.

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