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Eluvium – Pianoworks

2019 - Temporary Residence Ltd.
piano

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Tracklist

Vol. 1

1. Recital
2.Quiet Children
3. Carrier 32
4. Inherent Mosaic
5. Transfiguration One
6. Masquerade
7. Underwater Dream
8. Vacuous Plenum
9. Transfiguration Two
10. Paper Autumnalia
11. Myriad Days
12. Soliloquy & Aside
13. Empathy For A Silhouette

Vol. 2

1. An Accidental Memory In The Case Of Death
2. Genius And The Thieves
3. Perfect Neglect In A Field Of Statues
4. Nepenthe
5. In A Sense
6. The Well-Meaning Professor
7. Prelude For Time Feelers
8. Radio Ballet
9. Hymn #1
10. Caroling
11. Impromptu (For The Procession)
12. Entendre


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Matthew Cooper, conosciuto da tempo col moniker di Eluvium si cimenta in un’opera che, più che per il suo sound, risulta innovativa per il suo intento. In passato, l’artista era rinomato per le sue astrazioni ambient/drone gentilmente armoniche che già dal disco del 2004 (“An Accidental Memory in the Case of Death“) aveva fatto distinguere l’artista del Tennessee per il pacato radicalismo.

Ebbene, proprio a tal proposito, direi anche di abbandonare pure la definizione di “modern classical” che non vuol dire assolutamente niente. Per la precisione, questo ultimo “Pianoworks” è un’opera pianistica (classica o jazz che sia, l’essenziale è dire che è pianismo perché l’accento si pone sul mezzo espressvio che in questo caso è il piano, un po’ come ne Il Soccombente di Bernhard in cui un Gould caricaturale non voleva “suonare” il piano, ma voleva “essere” il piano e, paradossalmente, la poetica sovrastava l’estetica).

Nuovamente Cooper ritorna con un intento essenzialistico al pianismo, così essenziale da essere propedeutico come tecnicamente è l’infanzia propedeutica al mondo adulto (una concezione dell’infanzia e dell’adolescenza che aborro e che nemmeno attribuisco al Nostro, è giusto per fare un esempio ai limiti del pedagogico). Per cui, io non accosterei assolutamente questo lavoro al modern classical, che generalmente si rifa a tutta un’ondata di musica classica che ricondurrebbe ad un facile minimalismo (come Nyman per esempio) o a post-compositori come Max Richter che sì, avranno pubblicato anche per Deutsch Grammophon, ma che non raggiungono certo dei livelli di complessità di Ligeti, per esempio, e che spesso sono “soluzioni commerciali”, trovate di marketing furbesche. Questo per dire che la definizione di modern classical è come una legittimazione di un certo easy listening con velleità colte.

Premesso questo, diciamo che anche in questo “Pianoworks” troviamo pezzi di facile ascolto. Anzi, di ascolto basico, ai limiti della facilità. Appunto, essenziale. Ma difatti, in edizione limitata, i vinili vengono venduti assieme agli spartiti del disco proprio per dare la possibilità di eseguire i brani. Quest’opera è stata concepita per un pubblico infantile e fa venire in mente opere di compositori Europei che nel ‘900 hanno scandagliato l’ambito della propedeutica e dell’essenza musicale. Potrei citare i primi volumi di Mikrokosmos di Bartòk, che partono da un livello 0 fino ad arrivare ad alta complessità, per cui, ancora più azzeccato è la raccolta di spartiti Giochi di Kurtag, con una loro grammatica e una pratica pianistica che si concentra su tutte le possibilità dello strumento.

Proprio la dimensione del gioco qui non deve essere sottovalutata, perché il gioco è cosa estremamente seria (si rifletta sull’etimo tra gioco e formazione – paidià e paideia) e che di conseguenza avrebbe davvero poco senso dire che certe cose sono per adulti e certe cose sono da bambini. La cosa veramente difficile da concepire è, a mio avviso, la zona grigia in cui le due dimensioni, bambino e adulto (che non esistono, sono costruzioni, artifici sociali, amenità che atrofizzano il mondo, il benessere, il respiro creativo), si incontrano. Quanto un adulto riesce ad essere profondo come un bambino e quanto un bambino riesca a vedere dal di fuori il processo educativo del gioco? Forse non è necessario uscire da un fenomeno per viverlo pienamente, anzi, magari sarebbe deleterio. Insomma, questo disco deve farci porre una domanda: siamo ancora in grado di giocare, di ritornare all’essenza delle cose e, soprattutto, in grado di apprezzarla?

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