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Russian Circles – Blood Year

2019 - Sargent House
post metal

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Tracklist

1. Hunter Moon
2. Arluck
3. Milano
4. Kohokia
5. Ghost Oh High
6. Sinaia
7. Quartered


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Il giorno in cui ci arriva il promo di “Blood Year” non faccio in tempo a metterlo su, schiacciare play che devo uscire di casa. Sudo freddo, lo voglio ascoltare, ma aspetto, tanto ho aspettato tre anni, un’ora o due in più che vuoi che siano.

Allora rimugino un po’: i Russian Circles di “Memorial” si erano già votati ad un certo tipo di violenza, prendendo le idee di “Geneva” e dilatandole in una colata di suono slabbrato e granuloso, è un discone quello lì che diavolo, solo che poi è arrivato “Guidance” e tutto sembrava dover cambiare in favore di un math espanso nello spazio, bellissimo e ragionato, in certi punti quasi a volersi fare carico dell’assenza dei Don Caballero. E ora? Non posso più attendere.

Estratto di redazione:

“Ti dico solo MILANO”

“Dieci minuti e sono in cabina di pilotaggio”

E in cabina di pilotaggio ci entro sì, e tutto mi è chiaro. Già lo era con Arluck, scelta come perfetta apripista, come profeta che anticipa la fine di una breve deviazione, un’insicurezza che ha portato Cook, Sullivan e Turncrantz a dare una nuova voce alle proprie idee, guidate ad un ritorno a casa, un luogo in cui essere una band compatta e in cui il loro nuovo album debba suonare come se fossimo tutti lì, all’Electrical Audio di Steve Albini a Chicago (incarnazione del ritorno ad anni passati senza passatismo di sorta) ad osservare Kurt Ballou dosare i suoni, sceglierne la direzione, la dinamica, il colore. Ma il lavoro del chitarrista dei Converge è già deciso, perché il trio sa quel che vuole, e ciò che desidera di più è fare male. Calano le nubi, le fotografie di viaggio questa volta sono sottoesposte, si concentrano sui contrasti e sulla pesantezza di un momento storico e sociale che sanguina e fa sanguinare.

L’anno di sangue è una ferita lunga sette tappe, alcune le troverete su una qualsiasi mappa del mondo, altre guardandovi semplicemente allo specchio e chiudendo gli occhi, come nei migliori dischi post. Ma niente post qui, o meglio sì, ma tramutato, evoluto in un essere primordiale. In apertura sembra brulicare lontana tra le nuvole la tempesta e più si avvicina più pare dolce e immota fino ad esplodere nel vorticare di basso/batteria di Arluck, senza click, rock nella sua forma più imbastardita, le chitarre sorvolano rapidamente la zona e poi piombano senza preavviso dando origine al tema principale del resto del disco: l’asfissia.

La mancanza di ossigeno che occlude le vie respiratorie si adagia e in un lampo l’oscurità cala sulle trame esasperate di Sinaia e del rombo di tuono che fa sfracellare Quartered al suolo, in ampie voluttuosità post-hc estese ai confini del Creato per richiudersi nella fortezza desertica delle scale mediorientali immerse negli abissi del Nilo sui confini della sibillina Kohokia, mulinelli sul letto immobile di un fiume pervaso di elettricità nera, senza poter mai poter prendere fiato, fino alla follia che getta lo sguardo su Milano, una metropoli al ralenti le cui nubi vengono squarciate dalle lunghe lame del black metal fino a riprendere freneticamente il proprio incedere (in)naturale di tutti i giorni.

Il sangue non vuole rapprendersi, in quest’anno difficile, l’anno in cui il post-metal ha riscoperto la propria natura espansiva, con il suo comparto di musica pura e scevra di parole inutili, tante sono quelle che vengono spese ogni giorno, e nel “muto” strumentale ritrova il suo posto in un mondo che pare destinato ad un inevitabile oblio. I Russian Circles lo sapevano da tempo, era solo questione di metterlo per iscritto.

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