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“…And Out Come The Wolves”: le zanne affilate dei Rancid

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Siamo nell’Agosto del 1995, e mentre si sente ancora l’eco delle pietre miliari dei Green Day (“Dookie”), The Offsprings (“Smash”) e NOFX (“Punk in Drublic”) dell’anno precedente, è ancora fresca la notizia riguardante l’uscita dell’ultimo album dei Ramones, che ne sancirà anche la fine, intitolato appunto “Adios Amigos”.

Nonostante ciò, la scena Punk-Rock internazionale non è mai stata cosi viva e frizzante dai suoi inizi. In effetti è un periodo strano quello degli anni ’90, perchè il blocco sovietico è caduto da poco e il capitalismo si sta affermando come realtà dominante nel pianeta, paventando spettri come nuovi colonialismi in chiave economica, gli effetti collaterali della globalizzazione e di un consumismo sempre più nichilista e disattento ad aspetti come la giustizia sociale e l’ambiente. Ma forse è proprio questo che permette ai Rancid di piazzare la loro “bomba a tempo” definitiva: dopo aver rodato e scaldato il pubblico con “Let’s Go” (1994), arriva il loro nuovo album intitolato “…And Out Come The Wolves”. Si tratta di un successo strepitoso che determina l’apice della band, portandola finalmente ad essere accostata agli altri nomi importanti della scena Punk Rock del momento. Ma in realtà si tratta di un album molto diverso rispetto a quelli appena sfornati dalle altre band, ed anche rispetto al loro precedente lavoro.

…And Out Come The Wolves” pesca a piene mani dalle influenze ska che Matt Freeman e Tim Armstrong (bassista e chitarrista/cantante) si portano dietro dalla precedente esperienza con gli Operation Ivy, rese dinamiche e talvolta graffianti dal talento più tecnico e qualitativo del nuovo acquisto Lars Fredriksen. Le diciannove tracce dell’album si susseguono senza tempi morti, soste o inutili virtuosismi, eppure, prestando una attenzione maggiore si può facilmente seguire il basso dello stesso Freeman e rimanere colpiti dalle sue capacità forse troppo ingiustamente passate inosservate. Non si tratta del vecchio punk grezzo ed ignorante, ma di una sua evoluzione più frizzante, più ritmica e meno urlata ma pur sempre chiaramente schierata. I testi delle canzoni parlano di personaggi ai margini della società che spesso vagano nella zona grigia tra legalità e illegalità, o semplicemente trattano di storie d’amore, ricordi adolescenziali e persone che in qualche modo hanno colpito i vari elementi della band. La cosa interessante sotto questo punto di vista è che mentre il resto del mondo chiamerebbe tutta questa schiera di personaggi “emarginati”, i Rancid li descrivono semplicemente come persone che hanno scelto una strada alternativa per la loro esistenza.

Molto sottostimata in questo frangente è The Wars End, in cui un ragazzo punk se ne va di casa per essere finalmente se stesso, senza doversi più sentire incompreso o sbagliato. È un mondo, quello che vive nei testi delle canzoni dei Rancid, che ancora richiama e ricorda classici troppo facilmente dimenticati come il film “Fuori di cresta” (titolo originale: “SLC Punk!”), dove i “diversi” non sono i “geek” cool che ci danno in pasto le serie tv odierne alla “Big Bang Theory”, ma persone viste dal resto della società come degli alieni pericolosi, da ghettizzare, evitare o rieducare, ma non da accettare. Il tutto ovviamente trasposto in testo musicale con quello stile ermetico del genere.

Il mondo è cambiato dall’uscita di “…And Out Comes The Wolves”, ma non i suoi meccanismi di classificazione, esclusione o odio verso i diversi, quelli che per un motivo o per l’altro non si sono adattati e che si ostinano a vivere la propria vita secondo le proprie regole e la propria indole. Che il Punk in definitiva non sia morto, ma abbia soltanto cambiato livello di espressione della sua opposizione al sistema?

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