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“S.C.I.E.N.C.E.”, una nuova pelle scintillante

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S.C.I.E.N.C.E.” è inderogabilmente e nella maniera più inoppugnabilmente possibile uno dei dischi più derivativi di tutta la progenie crossover/nu/funk metal. Eppure qualcosa negli Incubus di fine anni ’90 sembrava funzionare e far superare il fatto che una volta messo su l’album ciò che si sarebbe ascoltato avrebbe riportato alla mente tutto tranne che un suono di propria forgia. Inspiegabilmente chiunque sia di larghe vedute e bocca buona dando una possibilità a questo disco non se ne sarebbe pentito.

Io personalmente scoprii il combo californiano dopo aver acquistato “Life Is Peachy” dei Korn, che del movimento non furono solo padri putativi ma veri e propri promotori. In allegato trovai un dischetto bonus contenente tre brani dal vivo: uno era Chi dei padroni di casa, l’altro un brano dei dimenticati The Urge e il terzo era Hilikus dei Nostri. Anziché lasciarmi perplesso data la somiglianza vergognosa con almeno 5 altre band rimasi incuriosito e così finii per comprarmi quello che scoprii essere il secondo album di questa band che a mio avviso poteva avere del potenziale.

E Cornelius (Brandon Boyd), Jawa (Mike Einziger), DJ Lyfe (Gavin Koppel), Dirk Lance (Alex Katunich) e Badmammajamma (José Pasillas) sembravano davvero averne di questo fantomatico potenziale. Al tempo gli Incubus erano giovani e pareva potessero usare la base funk metal di “S.C.I.E.N.C.E.” per definirsi in maniera esclusiva. Ovviamente è qualcosa che non sarebbe affatto avvenuto: già con il successivo “Make Yourself” il tentativo di smarcarsi da certe sonorità li porterà ad assomigliare sempre di più ai Faith No More, ma senza l’estro di Billy Gould e compagnia. Certo, hanno azzeccato il singolo della vita con quella Drive che ha assicurato ai ragazzi un erario di proporzioni bibliche, nonché dato agli alternativi una ballad dietro cui potevano nascondere i propri pruriti pop senza dover ammettere che la loro band preferita, sotto sotto, erano i Savage Garden.

Passati dunque da dover regalare i biglietti dei propri concerti – lo lessi in una loro intervista alla scomparsa rivista Hard – alle luci della ribalta sotto l’ala protettrice di quella Immortal che rifinì il suono di quegli anni di cambiamento generazionale gli Incubus infilano nel loro “sophomore album” alcuni pezzi da 100. Il cardine di tutto il lavoro sono le chitarre di Einziger, compresse, strane e dai giri muscolari senza mostrare troppi punti in comune né con Munky né con Head (al tempo sport nazionale di tutti i chitarristi nu), il che rendeva il tutto ancor più interessante. Il sound generale è smargiasso, moderno e potente e dà ai brani un’energia positiva e sfiancante, rifinita dal produttore Jim Wirt – al tempo sconosciuto – con un consistente aiuto dei veterani Terry Date ed Ulrich Wild che nel tempo divennero alfieri della cabina di regia di questo neonato genere.

Impossibile non dare di matto sulle ritmiche feroci di Glass – uovo di Pasqua pieno zeppo di inserzioni electro – e la super nu New Skin, vero e proprio anthem, o non agitarsi sulla sedia su Redefine, col suo rock anfetaminico pompato a mille dalle casse. La sei corde di Einziger urla impazzita sulla cicciona A Certain Shade Of Green che passa rasoterra come un missile sostenuta dalla ritmica imbastita da basso, batteria e turntables. La jungle ultraterrena che apre la sanguinolenta Nebula è un vero tocco di classe, come l’intero brano e che mostra le vere possibilità della band. “Quando la suoniamo penso agli Iron Maiden che galoppano nello spazio in groppa ai loro cavalli spaziali.” – ammise il chitarrista in un’intervista dell’epoca. 

Il punto più alto rimane Summer Romance (Anti-Gravity Love Song): se Drive sarebbe stato il savagegardenismo spiccio degli alternativi, questa era la porn-song per eccellenza. Le chitarre zappiane, il ritmo sottomarino e jamiroquaiano portano movimenti pelvici incessanti. Chicca? Il sassofono anni ’80 ultra erotico piazzato nello special. Pecca? Boyd non la smette di imitare Patton, che poi è un problema che si riscontra su ogni singolo brano ivi racchiuso.

Un altro album che avrebbe potuto essere l’incipit di un’avventura fantastica e rimasto poco più che un germoglio di un seme gettato alle ortiche. Negli anni a venire gli Incubus presero le distanze dal nu metal incolpando i Korn di aver rovinato la musica moderna – Einziger dixit – e trovando la propria strada in un rock innocuo, punteggiato qua e là da gran pezzi ma che alla lunga non basteranno a sostenere un’intera carriera. Oh, ma comunque “S.C.I.E.N.C.E.” spacca il culo quanto basta per rimetterlo su ogni qualvolta vogliate muovervi in maniera convulsa senza pensar troppo. Non è cosa da poco, per un disco così tanto derivativo.

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