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Ciao, Daniel

Daniel Johnston

Alla fine cosa mi hanno chiesto di scrivere? Un articolo commemorativo, ovvero destinato a celebrare o a perpetuare la memoria di persone o fatti. Ed è quello che farò, ma sarò breve, come a Daniel non servivano più di due o tre note per esprimersi, così come ad un buon fotografo non servono 1800 scatti al giorno per tirare fuori una buona fotografia. Non mi dilungherò sui fatti biografici di Daniel Johnston perché sono state scritte decine di articoli infiniti, complessi, ramificati, al fine di cercare, morbosamente, riempiendo le pagine con trattati sulla schizofrenia e i disturbi bipolari, di andare a scovare quello che era veramente questo personaggio. Sono stati girati documentari, il tutto per capire come e perché una persona mentalmente disturbata potesse aver avuto una così importante influenza nella scena musicale dagli anni 80 ad oggi.

Daniel nella sua cameretta, Daniel nel suo garage, con la sua pianola, il registratore a cassette, e fogli e matite e pennarelli e forbici arrotondate, e un’intera discografia prodotta in questo modo. Ci faranno anche un film, ci scommetto il pranzo. Ma va bene, oggi siamo tutti qui a parlare di Daniel Johnston e la cosa mi rende molto felice, al di là della tristezza che provo dalla notizia della sua morte. Notizia arrivata il 12 settembre. Mi fa felice perché… non lo so in realtà. Forse perché la vivo come un momento storico, come un evento che non lascerà le cose come le conoscevano prima? Perché siamo di fronte alla classica situazione in cui il genio muore e il clamore mediatico si riversa sulle masse? No, sulle masse proprio no, ma andate a vedere adesso quanto costano i suoi disegni!

Mi viene in mente che a parte un cd ristampa/raccolta posseggo un album di Moe Tucker con una collaborazione di Daniel. Quello che mi chiedo oggi è: perché nel 1989 Maureen ha scelto di incidere un brano con lui per il suo album “Life in Exhile After Abdication” e farlo apparire negli stessi credits con Lou Reed? Eppure Daniel non era ancora, suo malgrado, esposto ai riflettori per via della maglietta di Kurt agli Mtv Music Awards del ’92
Il vero motivo potrebbe essere che Moe abbia visto Daniel suonare in un club di Austin e lo abbia avvicinato, ne è nata un’amicizia e l’anima sensibile e attenta della Tucker ha avuto l’idea di includere questa candida figura mitologica nel suo successivo Lp, perché la risposta è gia nel titolo: esilio. Un “esilio” mentale, intellettuale e autoimposto per non morire, per non esplodere, come autoimposta era la terapia, ovvero l’autoterapia, l’unica veramente funzionante per Daniel, quella che esisteva dentro e fuori gli ospedali, quella che l’ha fatto sopravvivere fino a 58 anni: la musica. L’infinita ricerca dell’ amore attraverso le canzoni, quelle dei Beatles e le sue, quelle per la sua amata e quelle per la sua anima. La musica era la sua consolazione, la sua felicità.

Per finire, poniamo il caso che un artista sia in contatto con l’”altro lato delle cose”, che uno psicanalista definirebbe “inconscio”, il non-tangibile, il neutro. Ecco, i contatti di Daniel, derivanti da quelle che erano diagnosticate come malattie nel mondo dell’ordine condiviso, gli consentivano di far venir fuori quello che viveva nella sua anima più recondita, che consisteva in una enorme, sconfinata, fragile dolcezza.

Quelle canzoni stavano a significare una cosa molto semplice: “Non sono cattivo, voglio solo essere amato e se mi amerai verrà fuori quella bellezza che senti nelle mie canzoni”. È molto, molto semplice, non c’è altro da spiegare, basta ascoltare.

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