Impatto Sonoro
Menu

Back In Time

“In Utero”, una scatola a forma di cuore profonda come un abisso

Amazon button

Ormai può sembrare futile aggiungere parole in più su una band che ha spaccato in due gli anni ’90. Fiumi di parole, articoli, libri, documentari e film sono stati dedicati a Kurt Donald Cobain e ai Nirvana. Moltitudini di giovani adolescenti si sono infilati camice di flanella a quadri, anfibi e jeans laceri sull’onda di quel movimento chiamato grunge, del quale la band di Seattle è stata una delle icone principali insieme a gruppi come Melvins, precursori assoluti, Soundgarden, Alice in Chains. Emersa dalle ceneri del punk, questo sound si caratterizzava attraverso suoni più grezzi, infinitamente più bassi, lenti e smodatamente distorti.

I Nirvana nel loro album di esordio “Bleach” (1989) tirarono fuori un gracchiante capolavoro dove le linee punk erano ancora molto dure. Con Nevermind (1991), l’album più popolare in assoluto, il gruppo tirò le redini dei ritmi forsennati e diede una vena più melodica con sentimenti di ribelle e anarchica tristezza. Quando sentii per la prima volta la voce di Kurt Cobain fu per caso: un video in tv della, ormai usurata, Smell Like Teen Spirit, e da lì anche per me, come per tanti altri fan, iniziò l’amore per questa band. Il loro terzo album “In Utero” (1993) fu il degno successore di “Nevermind” e c’è chi lo considera addirittura migliore.

Inutile dire che non c’è una traccia fuori posto, nessuna storpiatura o canzone non intrisa del puro pathos dei Nirvana. In questa perla troneggiano alcuni tra i più importanti ed indimenticabili brani del gruppo: la digrignata malinconia di Hearth-Shaped Box, la rabbia disperata di Rape Me, forse il pezzo più bello del disco, e l’introspettiva Dumb. Questi tre brani al primo ascolto mi colpirono particolarmente e, a rifletterci oggi effettivamente, è possibile vedere come i sentimenti della band per In Utero, siano ben rappresentati al loro interno. Quei sentimenti di collera nevrastenica conditi con sound acido e corrosivo si spalmano alla perfezione su Scentless Aprrentice così come su Milk It o Radio Friendly Unit Shifter. Più melodico, l’altro grande classico, Pennyroyal Tea, si pone come una traccia più pensata e articolata.

In Tourette’s un isterico Kurt fa risplendere le sue urla su un pezzo degno del delirio del primogenito Bleach, per poi cambiare totalmente passo e fare spazio al litanico grande classico All Apologies. Quanto di più musicalmente lunatico, ma al tempo stesso spiccatamente significativo ed intimo, questo trasmetteva e trasmette ancora oggi la musica dei Nirvana. Probabilmente Kurt sembrava mettersi a nudo in quello che cantava e in come lo cantava. Potrebbe essere questo il fattore che ha portato le legioni di fan a ritrovarsi nelle sue parole, nelle sue emozioni e nei suoi sentimenti.

Purtroppo il sottoscritto non è riuscito a vederli dal vivo, infatti con “In Utero“, Kurt Cobain e i suoi compagni Krist Novoselic e il poliedrico Dave Grohl diedero alla luce l’ultima vera opera in studio della band, vista la prematura, e “molto sospetta”, dipartita del frontman ventisettenne di Seattle, avvenuta nel ’94. Motivo per cui abbiamo dovuto vedere una brutale commercializzazione di tutto ciò che Kurt poteva aver suonato durante la sua vita. In effetti, forse, mancherebbero giusto i primi accordi all’età di sette anni da pubblicare. Senza entrare nel merito di polemiche, colpe e avidità coniugale, quella dei Nirvana è una storia che si è chiusa presto, troppo presto, anche se la loro musica porta con sé qualcosa di indelebile.

Questa musica, per quanto possa essere semplice sul piano tecnico, trasporta una forte carica emotiva che si alterna in modo estremamente bipolare: l’essere incompresi, tristi e fragili rispetto ad una società amorfa che vuole schiacciarti, violentarti (Rape me, my friend), ma allo stesso tempo anche essere carichi di rabbia e di follia, così da riuscire ad inventarsi qualcosa per resistere a tutto il dolore, sputando in faccia a tutti o facendo un bel sorriso guardandosi allo specchio. Emozioni profonde, contrastanti, che hanno caratterizzato una generazione, ma, ancora oggi, ogni volta che vedo un ragazzino con una maglietta dei Nirvana, penso che quei messaggi, quei sentimenti ed emozioni non siano morti all’inizio dell’aprile 1994.  

Piaciuto l'articolo? Diffondi il verbo!

Articoli correlati