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“Paranoid And Sunburnt”, un graffio profondo sulla vetrina dell’ipocrisia

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Alcuni dischi sono una fortuna per il genere umano perché ti fanno ricordare, con la loro onestà e schiettezza, quanto fosse imperfetto quello stesso passato che troppo sovente giochiamo a lucidare, rendendolo migliore di quanto in realtà non fosse. È il caso di Paranoid and Sunburnt, primo disco degli Skunk Anansie uscito nel 1995. Non ci sono parole per descrivere l’impatto graffiante e coraggioso della band, canalizzata nella voce e nella figura della loro cantante: Skin. Non fraintendetemi: prima di loro, avevamo già visto cantanti e musicisti di colore calcare anche con successo i palchi di concerti e programmi musicali in tv, talvolta anche con estremo successo. Eppure, gli Skunk Anansie con questo primo album riuscirono a far sembrare tutto ciò come se fosse una prima volta.

Perché? Perché fondamentalmente ognuna delle undici tracce ci raccontava qualcosa che avevamo già visto, magari anche di persona, senza però comprendere o trovare canali per riuscire ad empatizzarvi. Temi come il razzismo, la diversità, il conformismo, l’odio, il bisogno di amore ci vennero lanciati in faccia in modo sfacciato e con un linguaggio diretto, senza però scadere nel misero “j’accuse”, accompagnati da una dolcezza di fondo sbalordente e disorientante. Fondamentalmente Paranoid And Sunburnt”, nella sua eccentricità britannica, è un disco di amore e non di odio, di eguaglianza e non di sopraffazione.

La prima traccia dal titolo Selling Jesus è una critica feroce e senza mezzi termini alla religiosità ipocrita e di facciata, uno dei temi centrali di molta produzione musicale degli anni ’90, perché in effetti la caduta del blocco sovietico e la lenta ma inesorabile esondazione del modello occidentale nel mondo, stava man mano facendo salire a galla con maggior evidenza tutte le contraddizioni e le nefandezze di un certo tipo di religiosità. Emblematica ma invece ancora molto attuale in certi ambienti, che oggi definiremmo radical chic, è Intellectualise My Blackness, che punta il dito contro un modo puramente “bianco ed acculturato” di idealizzare e costruire lapislazzuli e fiocchetti attorno alle differenze di colore, volendosi differenziare nella forma, ma nella sostanza rimanendo identico al razzismo più palese.

Altra canzone, forse meno conosciuta ma di risonanza per quel tempo fu 100 Ways To Be A Good Girl, penultima traccia. Anche in questo caso per apprezzare meglio la canzone, dobbiamo ricordarci o capire meglio la situazione delle ragazze in quegli anni: al contrario di oggi, lo stereotipo della “brava ragazza” che aspirava a fare la moglie, madre e donna di casa era senz’altro ancora molto radicato, sebbene in netto cambiamento rispetto alla generazione dei propri genitori. Inoltre, purtroppo, ciò voleva significare anche essere sottomessa ed in certa misura “obbediente” a quelle che erano certe aspettative in quella società ancora più maschilista e paternalista rispetto a quella di oggi. Essere diversa, una reietta, magari con differenze di orientamento sessuale, ma anche solo una “nerd” significava venire identificata e spesso finire per identificarsi come “strana”, “diversa”, “instabile” ed in poche parole una “cattiva ragazza”. Possiamo quindi comprendere come questa canzone fu uno schiaffo senza riguardi a questo modo di pensare, contribuendo nel rendere Skin e gli Skunk Anansie come icona per chi era, si sentiva o veniva semplicemente etichettato come “diverso”, sbattendoci in faccia tutte le nostre ottusità.

A distanza di ventiquattro anni, Paranoid And Sunburnt rimane uno dei primi graffi sulla vetrina del benpensare, dell’ipocrisia e dell’odio “made in Europe”, fatto sì di sonorità di un rock non innovativo o particolarmente ricercato, ma che per questo non viene meno nel portare a compimento il suo intento di mettere in discussione cliché e pregiudizi del mondo bianco, macho e con molta ipocrisia religiosa palese o latente dell’Europa (ma anche un pochino del resto dell’Occidente) degli anni Novanta.

Skunk Anansie

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